Assolto anche in appello. Si conclude così il processo Caf-Fenapi per l'ex sindaco di Messina e ora parlamentare regionale Cateno De Luca. Anche per i giudici di secondo grado quindi l'evasione fiscale per circa un milione e 750mila euro e le false fatturazioni che contestava l'accusa non erano sussistenti. Assoluzione anche per gli altri due coimputati, l'allora presidente della Fenapi Carmelo Satta e il commercialista Giuseppe Ciatto. Anche in appello l'accusa aveva reiterato le richieste di condanna del primo grado, 3 anni per De Luca e 2 anni per i computati. Ma la sentenza d'appello parla chiaro. Dopo l'assoluzione del primo grado c'è nero su bianco anche la seconda decisione favorevole al parlamentare.
«E' il mio primo Natale dopo dieci anni che non passerò sulle carte giudiziarie, questo è un dato importante per me e per la mia famiglia». Così Cateno De Luca subito dopo la lettura della sentenza d’appello, a Messina, che conferma l’assoluzione nel processo Fenapi su una presunta evasione fiscale. Assoluzione confermata anche per Carmelo Satta, all’epoca presidente della Fenapi e per il commercialista Giuseppe Ciatto. «Questa vicenda - ha aggiunto De Luca - era paradossale e si è visto fin da quando ho subito l’arresto l’8 novembre 2017, arresto che è stato annullato nel giro di pochi giorni e che ha segnato particolarmente la mia vita perchè è stato messo in discussione non solo l’aspetto politico che mi ha riguardato nelle precedenti vicende ma è stata toccata più intimamente la mia attività professionale». De Luca parla di «una struttura che è stata creata con grande sacrificio fino dal 1992».
«Abbiamo vissuto - ha aggiunto - questa fase con grande attenzione, la mia preoccupazione non riguardava la mia persona ma tutti gli altri soggetti coinvolti ma soprattutto i dipendenti che sono stati messi a rischio. Si chiude un’altra vicenda con l’assoluzione, siamo a 18 processi, due arresti, spero che adesso gli organi inquirenti e la procura guardino con maggiore attenzione le vicende che riguardano un uomo scomodo, amato e odiato come me».
“Il tribunale - ha continuato De Luca - oggi ha confermato anche in appello la mia innocenza. Quell’innocenza che già lo scorso 10 gennaio una sentenza di primo grado aveva ampiamente acclarato. Oggi La Corte d’appello ha messo la parola fine a questo ennesimo capitolo. Sono stati anni complicati. Quando l’8 di novembre 2017 sono stato arrestato con l’accusa di evasione fiscale in quello che sarebbe diventato il processo Fenapi la mia vita e quella della mia famiglia e della Fenapi stessa sono state stravolte. Ero appena stato eletto al Parlamento siciliano e immaginate cosa si è scatenato contro di me. Ho subito un attacco mediatico senza precedenti. In meno di 24 ore il mio nome era su tutti i tg nazionali e i maggiori quotidiani.
Peccato però che lo scorso 10 gennaio, in occasione della sentenza di assoluzione di primo grado, non ci sia stato nei miei confronti lo stesso interesse. In questi anni ho sempre affrontato ogni udienza a testa alta, consapevole della mia innocenza. Non c’è giudice che possa rimproverarmi di non essere stato un bravo imputato. Sono stato sempre presente, soprattutto nei momenti cruciali, come stamattina perché non sono mai fuggito dai mie 18 processi che vi hanno sempre visto assolto.
Il mio ringraziamento va al professore Carlo Taormina, all'avvocato Giovanni Mannuccia, all’avvocato Tommaso Micalizzi, all'avvocato Emiliano Covino e tutti i consulenti che ci hanno supportato in questa guerra con particolare riferimento al professor Raffaello Lupi. Questa vicenda lascia in me un segno, una profonda ferita. Non auguro a nessuno il calvario giudiziario che io ho passato. Nei miei confronti c’è stato un vero e proprio accanimento. Ora mi aspetto che tutti coloro che si sono occupati di me e della mia vicenda sentendosi in diritto di rilasciare dichiarazioni ed emettere giudizi chieda scusa.
Mi riferisco in particolare a quella politica che non aspettava altro che un appiglio per attaccarmi e tentare di mettermi fuori gioco con vere e proprie azioni di sciacallaggio. La politica dovrebbe rimanere fuori dalle dinamiche giudiziarie. Dovrebbe occuparsi di far funzionare la giustizia, di riformare la giustizia. Secondo i benpensanti avrei dovuto ritirarmi in attesa di essere assolto in via definitiva. Dovevo mettermi da parte già dal 27 di giugno 2011, quando sono stato arrestato la prima volta. Sono passati quasi 12 anni. Pensate a quante cose sono accadute in questi anni. Io sono andato avanti sempre a testa alta, anche grazie al sostegno di quanti hanno continuato a credere in me. La comunità di Santa Teresa di Riva prima e quella di Messina dopo. Mi ha sostenuto il consenso della gente.
Oggi pretendo le scuse di Matteo Salvini e di quanti come lui mi hanno condannato ancor prima che un tribunale emettesse la sentenza.
Devo ringraziare gli uomini e le donne di legge onesti che hanno avuto la lucidità di esaminare quelle carte giudiziarie e andare oltre. Voglio ringraziare in particolare quel giudice che si è preso la responsabilità di smontare in primo grado le porcherie che erano state ad arte architettate contro di me. Ringrazio anche il collegio di oggi per il lavoro svolto con precisione e attenzione ribadendo la mia innocenza. Che il sostituto procuratore generale Felice Lima avesse definito la scorsa udienza “stupefacente” quanto deciso dal giudice di primo grado ci aveva lasciati più che perplessi. Da subito è parsa una presa di posizione sconcertante, anche nei confronti del lavoro svolto dai suoi colleghi.
La giustizia giusta ha prevalso. Quella giustizia di cui parlo nel mio libro Lupara Giudiziaria, scritto proprio durante i venti giorni in cui sono stato agli arresti domiciliari e che rimane oggi testimonianza del tentativo di farmi letteralmente “fuori”. Oggi posso dire che è finalmente finita, ma le cicatrici restano. Resta una profonda ferita e per questo che pretendo di essere risarcito, per le notti insonni, per il danno morale, per tutte le volte che sono stato bollato di essere impresentabile.”
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