Il piano delle bonifiche della Zona falcata potrebbe rivelarsi meno costoso di quello che finora si è immaginato. E la ragione l’aveva spiegata, in un suo intervento all’indomani della Conferenza dei servizi svoltasi a Palermo, il prof. Giovanni Randazzo, uno dei massimi esperti in materia e componente del gruppo di lavoro di UniMe, coordinato dalla professoressa Candida Milone.
È utile spiegare in premessa questo particolare aspetto, prima di vedere cosa sta succedendo e cosa dobbiamo aspettarci in futuro, in quali tempi, con quali fondi, prima di poter ripensare davvero la Falce, in un’ottica di riqualificazione ambientale e di valorizzazione turistica e culturale. Randazzo, in riferimento a quella Conferenza dei servizi dove la Regione siciliana aveva chiesto un supplemento di indagini collegato al Piano di caratterizzazione presentato dall’Autorità di sistema portuale dello Stretto e dall’Università lo scorso mese di luglio, aveva definito l’esito tutt’altro che negativo, anzi «un assoluto successo, mirato a risolvere il problema, spendendo in modo intelligente le somme disponibili.
Come prima cosa, tutti si sono complimentati per la qualità e il livello di approfondimento dello studio di caratterizzazione e il conseguente modello concettuale redatti dal gruppo di lavoro dell’Università di Messina coordinato dalla professoressa Milone. Nel corso delle analisi è stata ovviamente individuata la presenza di sorgenti inquinanti primarie e secondarie (serbatoi, vasche, servizi e sottoservizi) che di fatto conoscevamo anche prima e che ora, come ha detto il rettore Cuzzocrea, abbiamo avuto modo di certificare (dalla leggenda alla scienza). È stato inoltre definito il sistema idrogeologico dell’area (l’acqua circolante nel sottosuolo), evidenziando che non esiste una vera e propria falda, ma una tavola d’acqua marina ciclicamente movimentata dalle maree.
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