Messina

Mercoledì 27 Novembre 2024

"Mafia dei Pascoli": la sentenza a fine ottobre o il 3 novembre. Chiesti quasi mille anni di carcere

«Ci sono repliche delle parti? “No signor presidente”... bene allora andiamo in camera di consiglio». Erano passate da poco le 11.30 ieri mattina quando il giudice Ugo Scavuzzo che presiede il collegio giudicante del maxiprocesso Nebrodi, s’è alzato dalla sedia e insieme ai suoi colleghi Andrea La Spada ed Eleonora Vona è scomparso dietro la porta che divide la grande aula del tribunale di Patti, marmi bianchi e neri, dai locali posteriori della segreteria. Da quel momento è iniziata formalmente la camera di consiglio di uno dei processi più importanti della nostra storia giudiziaria recente, paragonabile senza dubbio ai già definiti procedimenti “Mare Nosturm” e “Gotha”, e che segnerà senza dubbio uno spartiacque anche nei futuri assetti della mafia dei Nebrodi. Com’è noto si tratta della maxi operazione del gennaio 2020 condotta dalla Procura antimafia di Messina, l’ufficio giudiziario guidato all’epoca dal procuratore Maurizio de Lucia, sul sistema delle truffe all’Unione Europea e all’Agea, smantellato dalle indagini di carabinieri e Guardia di Finanza. Truffe che per anni nel silenzio generale hanno attuato non soltanto i gruppi mafiosi tortoriciani, compresa la primitiva cellula dei Batanesi che poi è divenuta un gruppo molto più vasto, ereditando la gestione del territorio che fu dei Bontempo Scavo e dei Galati Giordano, ma molti altri rappresentanti di Cosa nostra sparsi per l’intera Sicilia. Un copione criminale che è stato poi esportato non solo dalla ’ndrangheta in Calabria, ma anche in altri paesi dell’Est Europa. Era la cosiddetta “mafia dei pascoli”, non nella vecchia e tradizionale accezione storica ma aggiornata al “2.0”, che ha drenato per anni milioni di euro nel silenzio di tutti. Terreni “fantasma” lungo la dorsale in mano ai clan, molti rubati agli agricoltori onesti, che venivano intestati ai gruppi mafiosi e servivano soltanto per incassare i contributi pubblici, tutti totalmente incolti o inesistenti. Fino a quando l’allora presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, non denunciò tutto, smantellando un meccanismo consolidato di fruizione e creando un Protocollo che porta il suo nome, rischiando pure di morire in un attentato nel 2016. L’udienza ieri è iniziata intorno alle 11 al Tribunale di Patti, e come al solito per una buona mezz’ora è andata avanti con il rituale dell’appello dei 101 imputati e dei loro rispettivi difensori. Poi, dopo le brevi dichiarazioni spontanee di uno di loro e visto che nessuna delle parti aveva intenzione di replicare, è scattato il “time out”: giudici e segretari del tribunale si sono chiusi in una struttura vicina per scrivere una sentenza che sarà molto complessa. Già, la sentenza. Quando usciranno i magistrati dal loro “ritiro”? Il presidente Scavuzzo prima di andare via ha fornito alcuni “indizi” su tre date possibili per preallertare tra l’altro anche le strutture carcerarie che consentono i videocollegamenti con gli imputati, detenuti un po’ in tutta Italia: 28 e 31 ottobre, 3 novembre. Da ciò si comprende che la sentenza sarà letta in aula, a Patti, in una di queste tre date. Altro ovviamente allo stato non si può ipotizzare. Le richieste dell’accusa, pronunciate a luglio scorso, pesano come un macigno. Ammontano a circa 970 anni di carcere e 30 milioni di euro di confische, tutto distribuito tra capi, gregari, fiancheggiatori e colletti bianchi imputati (si arriva a 1045 se si considerano anche i giudizi abbreviati celebrati alcuni mesi addietro). Quattro i pm che si alternarono in estate per ricostruire l'intera vicenda e per formulare le richieste di pena o di assoluzione per i 101 imputati del procedimento. Insieme al procuratore aggiunto Vito Di Giorgio, i sostituti della Dda Fabrizio Monaco (ieri i due magistrati erano entrambi in aula) e Antonio Carchietti, e poi il collega della Procura Francesco Lo Gerfo. Il 2 marzo del 2021 la prima udienza del maxiprocesso iniziò intorno alle 10.45, all’aula bunker del carcere di Gazzi, a Messina. Fu una vera e propria “maratona giudiziaria”, che si concluse soltanto intorno alle 19. Un anno, sette mesi, e 22 giorni dopo, adesso bisogna solo aspettare.

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