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Mafia a Tortorici, confiscati beni per 7 milioni all'imprenditore di Naso Nunzio Ruggeri

La citata confisca, oltre ad un consistente patrimonio finanziario ed immobiliare, dislocato nella provincia di Messina, tra Capo d’Orlando, Naso, Brolo e Sant’Agata di Militello, comprende anche il 50% di una società tuttora operativa nel settore della macellazione e commercializzazione di pellame

La Direzione Investigativa Antimafia, articolazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, nell’anno 2017, ha avviato complesse indagini economico finanziarie, coordinate dalla Procura della Repubblica di Messina-DDA e culminate nella proposta di applicazione di misura di prevenzione patrimoniale formulata dal Direttore della DIA, che ha portato prima al sequestro e poi alla confisca del patrimonio illecitamente accumulato del valore di circa 6.800.000 euro nei confronti di Nunzio Ruggeri, noto imprenditore di Naso (ME).

A fine settembre si è concluso l’iter processuale con sentenza della Corte di Cassazione che prevede la confisca definitiva e l’acquisizione tra i beni dello Stato del citato patrimonio. La citata confisca, oltre ad un consistente patrimonio finanziario ed immobiliare, dislocato nella provincia di Messina, tra Capo d’Orlando, Naso, Brolo e Sant’Agata di Militello, comprende anche il 50% di una società (quote e compendio aziendale) tuttora operativa nel settore della macellazione e commercializzazione di pellame (con un volume d’affari al momento del sequestro di circa 5 milioni di euro), nonché il 20% di un fondo consortile, anch’esso operante nel medesimo settore commerciale.

Il provvedimento della Suprema Corte conferma l’importanza dell’attività preventiva condotta dalla DIA a carico di soggetti ritenuti socialmente pericolosi che, attraverso condotte illecite, operavano a scapito degli imprenditori onesti e della leale concorrenza del libero mercato.

Il soggetto colpito dall’odierno provvedimento, che nel tempo risulta aver intrattenuto rapporti con esponenti di spicco dei sodalizi mafiosi dei “tortoriciani”, già nel 2005 era stato condannato con sentenza della Corte di Appello di Messina per fatti di usura che hanno riguardato un funzionario di banca il quale, nel tentativo di ripianare la situazione debitoria creata a carico del proprio istituto di credito, si rivolgeva a diversi soggetti tra i quali anche il proposto per ottenere prestiti rilevatisi poi di natura usuraria.

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