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Messina, l'affaccio a mare e i nodi ancora irrisolti

È stato il simbolo della Messina mitica e godereccia ma quell’edificio da anni ormai, come gran parte della cittadella fieristica, è la rappresentazione fisica di un “disastro”. Il vincolo apposto dalla Soprintendenza fornisce nuovi spunti al dibattito sul futuro del nostro waterfront

Il vincolo sull’ex Irrera a mare riapre un dibattito che, in realtà, non si è mai chiuso. Quale waterfront si vuole disegnare per la Messina dei prossimi decenni? Quell’edificio che sorge proprio in riva al mare, nella parte dove la cittadella fieristica confina con la Passeggiata, è un simbolo caro a tanti messinesi, a chi ha vissuto gli “anni d’oro” della città, individuati (pur con qualche mitizzazione di troppo, i problemi c’erano anche allora, e spesso venivano semplicemente ignorati o nascosti) in quel periodo tra i Cinquanta e i Sessanta dell’ultimo secolo dello scorso millennio.

Era la Messina della grande Fiera campionaria internazionale, della Rassegna cinematografica conosciuta in tutto il mondo, dei cantieri Rodriquez che sfornavano gli aliscafi più veloci del pianeta, delle serate da “dolce vita” e chi più ne ha più ne metta. Ma messa da parte la nostalgia dei “vecchi”, l’interrogativo di fondo rimane e se ne sta discutendo molto, negli ultimi anni, grazie anche al confronto pubblico avviato dall’Autorità di sistema portuale dello Stretto.

L’edificio progettato da uno degli architetti più famosi di metà Novecento, Vincenzo Pantano, ormai da anni ha perso la sua funzione, è stato di fatto abbandonato, e oggi appare come una vecchia barca alla deriva, lambita dalle acque dello Stretto, nel posto più suggestivo dell’affaccio a mare cittadino. La “vision” del quartiere fieristico rispondeva alle esigenze della città di epoche ormai lontane. Oggi si pone il problema di decidere cosa sia meglio per Messina, di scegliere i luoghi dove “sottrarre” – come ama ripetere il prof. Michele Ainis, appassionato spettatore, e protagonista anche, del dibattito sul nostro waterfront –, cioè dove eliminare il già costruito, perché non più compatibile con la pianificazione futura che intende rimuovere finalmente barriere e cesure che hanno impedito fino ad oggi alla città di vivere il suo rapporto con il mare, e dove, invece, ricostruire.

Ci sono opere che possono, e devono, essere realizzate, perché non bastano sole, granite e marranzano a riempire le giornate dei turisti che si vogliono far arrivare, sempre più entusiasti e numerosi, qui, in riva allo Stretto. Ci sono opere necessarie e indispensabili, che possono diventare, se ben progettate e realizzate (pensiamo al grande Eco Acquario dello Stretto, immaginato nella Zona falcata all’interno del Parco Blu delle Sirene), i fiori all’occhiello dell’ingegneria e dell’architettura messinese dei prossimi decenni. È la qualità, come sempre, il discrimine di tutto.

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