I magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Messina, nel concludere le indagini preliminari effettuate nei confronti dei due presunti autori dell'uccisione del giovane camionista Sebastiano Rizzotti avvenuta la sera del 7 aprile 1990, il cui corpo non è stato ancora individuato perché fatto scomparire con l’atroce sistema mafioso della “Lupara bianca”, hanno contestato agli indagati l'ulteriore reato di aver fatto parte dell'associazione mafiosa della “famiglia dei barcellonesi”. Infatti agli unici due indagati per il reato di “omicidio premeditato” in concorso con persone rimaste sconosciute, entrambi residenti nella frazione Gal, Renzo Messina, 53 anni e Domenico Abbate di 52 anni, arrestati all'alba dello scorso 8 marzo, è stata notificata una contestazione suppletiva con cui si muove l’accusa del reato previsto e punito dall'articolo 416 bis del codice penale. Infatti, contestualmente all'atto con il quale i magistrati della Dda, Vito Di Giorgio e Francesco Massara, hanno notificato l'avviso di chiusura delle indagini preliminari per il delitto commesso 32 anni, a Messina e Abbate è stata mossa la nuova contestazione. Anche se all'epoca del delitto non era ancora riconosciuta come reato l'associazione di tipo mafioso, i magistrati inquirenti – sula base delle rivelazione dei collaboratori di giustizia fatte sulla sparizione e l'uccisione di Sebastiano Rizzotti – hanno contestato a Messina ed Abbate di avere fatto parte, unitamente ai boss Giuseppe Gullotti e Carmelo D'Amico (divenuto poi collaboratore di giustizia e tra coloro che hanno permesso di fare luce sul delitto), e ad altri per i quali si è già proceduto, dell'organizzazione mafiosa riconducibile a “Cosa Nostra” denominata “famiglia mafiosa dei barcellonesi”. Nello specifico, “occupandosi prevalentemente di commettere per conto della associazione omicidi, furti e rapine”. Oltre a far parte dell'organizzazione si contesta per tutti “l'aggravante per essere l'associazione armata” che operava a Barcellona e paesi limitrofi fin la 1989.
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