Il fuoco fa parte di Stromboli. Il fuoco è Stromboli. È il più prepotente dei quattro elementi naturali che nell’isola si fondono più che altrove e col fuoco gli strombolani hanno imparato a convivere, facendo dei lapilli del vulcano un simbolo, un’attrazione turistica, un capolavoro da cartolina, perché no, anche un business. Ma il fuoco del vulcano è espressione dell’ineluttabile, è ciò che non puoi scegliere perché i suoi capricci vengono decisi dalla mano di Dio, direbbe Sorrentino, che di Stromboli ha fatto pure lui un set di irrinunciabile bellezza. «Il vulcano fa il suo mestiere», ripetevano i pescatori, nei giorni successivi alle grandi esplosioni dell’estate 2019. Parole dal significato neanche tanto implicito: «Siamo noi a doverci adeguare a lui, non viceversa». Un teorema di antica solidità, che crolla solo quando a muoversi è la mano dell’uomo e non quella di Dio. La mano che ha osato sfidare il vulcano proprio col fuoco, che nella sua isola sa essere indomabile, specie se incoraggiato dallo scirocco alleato. La mano dell’uomo che ha violato il patto che da secoli vige tra il vulcano e gli strombolani, straordinari esempi di resilienza, amore e devozione. Stromboli è patrimonio dell’Unesco, la sua unicità è incisa sulle tavole della Storia, il verde che contrasta col nero della sua terra è bene raro e dunque prezioso. A cosa serve definire “tutelato” un luogo, se poi nessuno lo tutela? Oggi lo Stato è chiamato a non far sentire isolati gli isolani, perché oggi non c’è da specchiarsi su comode pagine patinate, ma serve rispondere presente. Del resto, come si può ritenere una minaccia la mano di Dio, se poi quella assassina è la mano dell’uomo?