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Messina, la prof. Francesca Moraci: “Il nodo Stretto è questione nazionale”

L’intervento dell'urbanista di fama internazionale, al network “Mediterranei Invisibili” di Alfonso Femia

Francesca Moraci

«I fondi del Pnrr rischiano di essere usati adottando progetti sponda al solo scopo di rendicontare, secondo ovviamente le regole imposte dalla Unione europea. Questo accadrà perché manca la progettualità che deriva da una visione chiara e definita e dalla capacità di attribuire priorità agli investimenti». Francesca Moraci lo dice a chiare lettere, intervenendo a “Mediterrannei invisibili”, il network creato da Alfonso Femia, e lo ripete alla “Gazzetta del Sud”. Messinese, urbanista di fama internazionale, docente alla Facoltà di Architettura dell’Università di Reggio Calabria, con incarichi prestigiosi avuti negli anni, all’interno del Cda dell’Anas e, poi, delle Ferrovie dello Stato, una vita che, come viene mirabilmente definita, è «a cavallo tra lo Stretto e il resto del mondo».

Il nodo mai sciolto

C’è un nodo mai sciolto, che pesa sul nostro presente, e sul futuro delle generazioni che qui cresceranno: «La maggior parte delle attività promosse fino a oggi nell’area dello Stretto ha espresso una progettualità di conurbazione, non di sistema territoriale, talvolta anche lontana da una visione di relazione con il Mediterraneo.... Quello che serve allo Stretto è una prospettiva a... scala europea che si possa sviluppare attraverso regole definite tra investimenti e scelte specifiche».

Il cambio di algoritmo

La professoressa utilizza una metafora, quella del «cambio di algoritmo. Mi spiego meglio: se, per esempio interrogassimo Alexa (l’interfaccia utente di Amazon, a comando vocale), chiedendo chi potrebbe essere il sindaco di una grande città italiana, la risposta sarebbe coerente con l’algoritmo: presumibilmente un profilo tipo uomo, maschio, bianco, 50 anni, laureato in discipline economiche o giurisprudenziale. Ricalibrando questo esempio sulla situazione dello Stretto, se gli investimenti sono l’hardware, la capacità decisionale è il software e per far funzionare tutto, cioè per ottenere risultati concreti, è necessario programmare con un algoritmo adeguato, cioè con una forma mentis in grado di generare intuizioni precise e guidare meglio il processo decisionale. Bisogna partire dalle basi, cambiando le parole secondo un modello di nuova alfabetizzazione che parta dalla dimensione formativa e didattica fino a coinvolgere la “governance”». E, questa, non è un’analisi fine a se stessa: «La necessità di mutare il paradigma culturale non è un altro slogan, serve realmente per scrollarsi di dosso i pregiudizi. Nello Stretto è stato quasi sempre anteposto ciò che è più conveniente a ciò che è giusto e queste scelte, ripetute nel tempo, hanno amplificato il divario: non un’incapacità solo strutturale, ma un’incapacità effettiva, che ha ricadute in termini funzionali».

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