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Stretto di Messina, volano via dal Ponte quelle parole al vento

Lo stretto di Messina

«Le parole sono come il vento, volano via; solo le opere rimangono. Nella vita non conta ciò che dici, ma ciò che fai». Lo affermava Hernan Huarache Mamani, il famoso scrittore peruviano di etnia “quechua”, morto nel 2016. Ascoltando il ministro Enrico Giovannini, si è avuta l’impressione dell’ennesimo “deja vu” ed è come aver visto materializzarsi proprio la scena delle parole che, come foglie, vengono trascinate via dallo Scirocco.
Le dichiarazioni di Giovannini sono, più o meno le stesse, di quelle rilasciate dalla ministra che lo ha preceduto, Paola De Micheli. Allora, l’esponente del Pd annunciava l’istituzione di una Commissione di esperti per valutare la fattibilità delle varie ipotesi di collegamento stabile nello Stretto. Ora l’attuale ministro del governo Draghi parla di uno studio di fattibilità che è stato affidato a Rfi, anzi dell’avvio delle procedure di affidamento. Ecco le parole testuali: «Non abbiamo messo da parte il Ponte sullo Stretto, abbiamo affidato a Rfi lo studio di fattibilità per analizzare i diversi aspetti. Rfi ci ha mandato un primo cronoprogramma, ne stiamo parlando in maniera tale da procedere prima possibile all'avvio dello studio di fattibilità». Ed ancora: «Il governo è aperto, bisogna vedere la fattibilità, i costi e gli aspetti tecnici. Speriamo prima possibile di offrire al Parlamento tutti gli elementi possibili per prendere una decisione».
Paola De Micheli, due anni prima di Giovannini, diceva: «Noi abbiamo insediato una commissione che ci darà una serie di risposte di natura tecnica rispetto a una condizione delle due regioni che verrebbero collegate dal Ponte o da altra modalità di collegamento... La decisione finale non verrà presa da commissioni tecniche... sarà della politica e dovrà essere consapevole e profonda».
È, più o meno, come nel gioco dell’oca. Quando la pedina arriva alla casella 58 del tavoliere, si paga la posta (i 50 milioni di euro assegnati a Rfi per l’ennesimo studio di fattibilità sul Ponte, anzi sui Ponti, a una e a tre campate, ma perché non a cinque, a ventisette, a ottantotto....) e si torna esattamente al punto di partenza. In quel caso, quando si era bambini e si voleva vincere ad ogni costo, quando si capiva che tutto quello che era stato fatto in precedenza, tutti i lanci di dadi, non contava nulla, ci si metteva a piangere. Ora, per non piangere, dovremmo solo ridere...
Sbandierare cifre miliardarie relative agli investimenti sulla transizione ecologica e su un’Alta velocità che non potrà mai arrivare nell’Isola, se continuerà a rimanere la cesura dello Stretto, è come farci sognare, noi, senz’acqua, abbandonati dai carovanieri, in mezzo al deserto, un’oasi di palme, laghetti e datteri. È bellissimo, finché non si scopre che era solo un miraggio.
Questi tre anni sono stati un assurdo spreco di tempo. Non si è avuto, e non lo si ha ancora, il coraggio di assumere una decisione definitiva. Bisognava prendere il progetto esistente del Ponte sullo Stretto e aggiornarlo, oppure mettervi una pietra sopra. E invece si è scelto deliberatamente di confondere le acque, prima con il tunnel sottomarino della Saipem, con l’altro tunnel che piaceva al viceministro Cancelleri e all’ex premier Conte, con la pista ciclabile vagheggiata dall’ex ministra De Micheli, con il Ponte a tre campate, la cui causa viene perorata dal prof. Aurelio Misiti e dal presidente dello Svimez Giannola, perfino con quella “opzione zero” di cui continua a parlare lo stesso Giovannini. Tutte le ipotesi erano state vagliate dopo studi, approfonditi e costosi, durati decenni. Ma qui non siamo al Nord. Qui tutto è consentito. Anche assistere al tragicomico balletto di parole che danzano sulle acque dello Stretto, portate via dal vento...

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