Quando si arriva con l’auto al casello autostradale dell’A20 e si prosegue per andare a Barcellona quel vialone d’asfalto ormai vecchio, biancastro, scotto dal nostro sole rovente, circondato soltanto dall’erbaccia alta e da un guard-rail arrugginito dal tempo e dalla desolazione dell’anima, è lo specchio sbiadito di quello che ci aspetta. La rotonda che fa da aiuola direzionale poco più avanti è completamente disadorna e con l’erba perennemente alta. Girando poi a sinistra per andare in centro lo scheletro annerito di un palazzo divorato da un incendio è lì da tempo immemorabile. Non c’è stato proprio verso di sistemarlo in tutti questi anni. L’oppressione mafiosa condiziona da troppo tempo la mancata bellezza di una città dove, non ci stancheremo mai di ripeterlo, le persone oneste sono la stragrande maggioranza e meriterebbero molto di più di quello che hanno: qualche strada degna di questo nome magari senza auto parcheggiate in tripla fila, un paio di parchi puliti dove portare i bambini, qualche aiuola risistemata e piena di piante, palazzi non come arlecchini edilizi di mattoni forati lasciati a metà perché sono finiti i soldi, ma finalmente con le facciate terminate e colorate. Non sono affatto elementi di contorno, ma essenziali. Ci sono alcuni passaggi cruciali per la vita di Barcellona, e per certi versi anche di Milazzo - fatti di cui s’è occupato in un suo recente articolo per il Corriere della Sera anche Gian Antonio Stella -, accaduti in quest’ultima settimana, su cui forse vale la pena di fare qualche riflessione. Perché molto probabilmente mai come ora c’è la possibilità di provare a cancellare definitivamente l’ombra mafiosa che oscura una città dalle potenzialità veramente grandi. Un intervento repressivo massiccio dello Stato, l’ennesimo, che ha il volto e il nome della Procura antimafia di Messina retta da Maurizio de Lucia, dei suoi colleghi della Dda e delle centinaia di carabinieri che sono arrivati una notte per provare a cancellare la mafia, ha idealmente riconsegnato un territorio liberato da quella oppressione, con la possibilità di rimettere in moto quelle dinamiche socio-economiche fondamentali per ricostituire un tessuto troppo lacerato. L’altro aspetto della recente maxi operazione è l’assenza di denunce da parte delle vittime del “pizzo” di cui parla in maniera molto chiara nella sua ordinanza il gip Ornella Pastore. Questo aspetto è fondamentale per la rinascita di un territorio, e al di là dei comunicati di compiacimento per l’operazione forse è necessario che l’intero mondo dell’antiracket della nostra provincia si interroghi al suo interno su questo “zero” incasellato tra Barcellona e Milazzo, su questo silenzio assoluto dei tartassati in un clima di terrore. Forse bisogna ripensare ad un’azione molto più incisiva sull’area tirrenica. Adesso che la mafia è in cella e si può rinascere. Un altro aspetto. S’è dipanato il classico copione quando qualcuno, chissà chi è, si è reso conto che il sindaco Pinuccio Calabrò stava facendo molto sul serio per il recupero dei tributi non pagati dopo decenni d’immobilismo, che significa in una terra di mafia riportare nel fondamentale alveo della legalità un settore strategico per rimpinguare le casse comunali, così come dovrebbe accadere in quello dei mercati, della riscossione delle multe, della viabilità, dell’abbattimento delle costruzioni abusive. Il concetto è molto semplice: per sconfiggere la mafia bisogna fare vedere che lo Stato c’è, in tutte le sue articolazioni, come dicono quelli che parlano bene. Ma è la sacrosanta verità, bisogna dire stop a quella zona grigia che consente non soltanto alla mafia ma anche ai suoi “amici” di galleggiare nell’impunità senza pagare. Le minacce sono puntualmente arrivate ma questo ambito è fondamentale per rimettere le cose a posto, per far percepire la presenza dello Stato. Sulla vicenda il sindaco Pinuccio Calabrò non ha avuto alcun tentennamento, così come i suoi collaboratori che avevano lavorato per accelerare l’insediamento della nuova società di riscossione, e ha denunciato tutto alla Polizia. L’ultimo fatto importante di questi giorni è la bellissima lettera aperta alla città scritta da suor Marilena Mercurio, la salesiana delle “Figlie di Maria Ausiliatrice” per la quale a suo tempo si erano mobilitate le associazioni di volontariato, per impedirne il trasferimento a Messina. Meno male che è tornata, altrimenti avrebbe regnato il silenzio a parte le note scontate di congratulazioni per la maxi operazione. Noi firmiamo subito la sua lettera, così come ha chiesto. E vorremmo vedere tante altre firme. «Non è più tempo di tacere» ha detto suor Marilena, lanciando uno slogan chiaro e preciso, ovvero “Io con la mafia non ci sto”, e spiegando che «i risultati che emergono dalle recenti operazioni antimafia ci consegnano un quadro drammatico della realtà del nostro territorio». Già, drammatico. Cosa nostra barcellonese s’era riorganizzata per l’ennesima volta tornando ad opprimere Barcellona e tutto l’hinterland. Eppure l’ottimismo di suor Marilena bisogna sbandierarlo ai quattro venti, ovunque: «Oggi più che mai è necessario mobilitarsi e ripartire. Occorre ritrovarci e riscoprire cosa siano “Bene Comune, Onestà, Senso del Dovere, Solidarietà, Libertà”, rilanciamo un appello ai nostri concittadini. Abbiamo ancora bisogno gli uni degli altri, di respirare aria serena, di essere parte attiva, di dare speranza a chi ha resistito o magari si sta rimettendo in gioco proprio adesso, nonostante le mille difficoltà del tempo attuale. Barcellona ha dimostrato in tante occasioni di sapere alzare la testa e risollevarsi. Le associazioni antiracket, che continuano a impegnarsi in questo territorio sono sempre pronte a dare il loro aiuto, ma anche loro hanno bisogno di noi». Oggi chi denuncia il racket ha al proprio fianco tanta gente, oltre a reali possibilità di riscatto e sovvenzione. Quella casella “zero denunce” dev’essere cancellata al più presto. Tutti i barcellonesi onesti se lo meritano. Una nuova Primavera adesso è a portata di mano.