La decisione è clamorosa. E cambia le carte in tavola per una vicenda simbolo come il processo “Oro grigio”, che nella metà degli anni 2000 stoppò una lottizzazione sul torrente Trapani per un giro di “mazzette” ormai certificate con sentenza definitiva, tangenti pagate per cambiare la destinazione urbanistica dell’area e realizzare più appartamenti. La confisca dell’immobile è stata revocata e il tutto è stato restituito alla Samm Costruzioni srl di Barcellona degli imprenditori Arlotta.
Lo ha deciso la Corte d’appello dopo il rinvio della Cassazione, che aveva dato ragione ai legali dell’impresa barcellonese che voleva realizzare l’immobile. E che proprio a causa dell’inchiesta e del processo, e poi con la successiva confisca, aveva chiuso i battenti per fallimento. Si tratta del cosiddetto “incidente d’esecuzione”, per fare valere i propri diritti che si ritengono violati.
Sì, la vicenda penale c’è stata tutta, si è conclusa con le condanne, però - ecco il ragionamento giuridico alla base della decisione adottata dalla Corte d’appello nel collegio presieduto dal giudice Francesco Tripodi -, una cosa è il processo ormai concluso in tutti i gradi di giudizio, un’altra è la “sproporzione” tra gli esiti del processo e la confisca del terreno e del “rustico” già costruito, su un’area che in ogni caso è destinata a fini edificatori. Una “sproporzione” che dev’essere al centro delle valutazioni in queste vicende, sulla scorta di una recente sentenza della Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Quindi ha avuto ragione in questa lunga vicenda processuale il pool di legali chiamato dai costruttori barcellonesi Arlotta, interessati nei vari giudizi relativi al profilo penale e alla fase di esecuzione, gli avvocati Tommaso Calderone, Gianni Pino e Carmelo Monforte, oltre all’avvocato Alessandro Billè che ha rappresentato la curatela fallimentare.
Ripercorriamo tutto. Originariamente, e prima del fallimento della Samm Costruzioni srl, i legali presentarono il cosiddetto “incidente di esecuzione” per la revoca della confisca, in quanto la Samm secondo il loro ragionamento era da considerarsi “terzo estraneo al procedimento penale", ditta che “si era trovata a subire la confisca senza che le fosse stato garantito il contraddittorio”. Dopo il rigetto del primo incidente di esecuzione venne presentato dall’avvocato Gianni Pino ricorso per Cassazione. Anche l’avvocato Alessandro Billè - nel frattempo nominato dalla curatela della Samm -, condividendone i motivi, presentò un ulteriore ricorso per Cassazione. E la Cassazione dichiarò la mancanza di legittimazione al ricorso per la società, poiché fallita, accogliendo quello della curatela.
Quindi dopo il cosiddetto “giudizio di rinvio”, la Corte d’appello di Messina, dopo ben 15 anni - era il 2007 quando il terreno venne sequestrato -, ha disposto la revoca della confisca. Sul piano concreto dopo 15 anni, spiegano i legali, la società Samm «ha potuto far valere le ragioni relative al fatto che le aree in oggetto fossero adeguatamente urbanizzate».
Vale la pena di riportare alcuni passaggi-chiave della decisione, per comprendere come hanno ragionato i giudici. Dopo aver citato una serie di considerazioni giuridiche ancorate alla sentenza della Cedu, scrivono: «Sulla base di queste premesse non può negarsi come la sanzione della confisca debba ritenersi nel presente caso sanzione “sproporzionata” rispetto alla entità dell’illecito accertato. Si tratta di un terreno per il quale la vocazione comunque edificatoria e di sviluppo residenziale, in un contesto circostante già urbanizzato, non è stata mai messa in discussione e rispetto al quale l’oscillazione tra la possibile collocazione in zona C (con maggiori oneri e complessità tecnico burocratiche di intervento e parametri edificatori ristretti) e quella B (con l’accesso ad una diretta più imponente azione edificatoria regolata dallo strumento concessorio), resta esistente, con scelte definitive ugualmente plausibili rimesse all'ente territoriale».
Sulla questione prettamente penale sganciata dai risvolti per così dire pseudo-civilistici, i giudici poi scrivono: «La pressione di origine corruttiva accertata nel corso del processo per “chiarire” nel modo fraudolento emerso attraverso il processo penale la collocazione in zona B (alterando in realtà, come è stato stabilito, le decisioni compiute nelle sedi istituzionali comunali e regionali), non cancella quindi la possibilità di consentire, anche nel nuovo assetto regolamentare venutosi a creare, potenzialità edificatorie assolutamente cospicue, che costituivano “patrimonio” legittimo dei privati proprietari e bene giuridico validamente trasferito alla Samm immobiliare, entrato a pieno titolo nel suo patrimonio. Danno urbanistico grave e permanente ostativo alla revoca per difetto di proporzionalità - scrivono ancora i giudici -, sarebbe stato costituito semmai da fenomeni che in questo caso non ricorrono, come l’edificazione in zona agricola o di pregio ambientale in violazione fraudolenta di vincoli di inedificabilità. La sanzione penale inerente i reati di corruzione non implica pertanto automaticamente la “proporzionalità” della sanzione della confisca».
I giudici guardano poi all’aspetto dei “proprietari” degli appartamenti, che versarono quote cospicue all’impresa ma non ebbero mai nulla: «La rimozione della confisca consentirà inoltre, come è ragionevole, adeguata tutela alle istanze risarcitorie del soggetti pubblici e privati che ben potranno essere fatte valere in sede fallimentare, sul ricavato della eventuale futura alienazione degli immobili».
L’ultimo passaggio riguarda invece Palazzo Zanca: «II Comune di Messina, azzerato ogni provvedimento in precedenza adottato, potrà rivedere i termini della concessione n. 36 del 2006 e resta libero di adottare tutte le soluzioni previste dalla legge».
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