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Affaire Bigotti, i giudici messinesi: "Prostituzione del ruolo difensivo e giudiziario"

I giudici ricostruiscono le vicende del caso Bigotti, il manager piemontese, e i rapporti con gli avvocati Amara e Calafiore

Il Tribunale di Messina

L’affaire Bigotti, ovvero il manager piemontese aiutato ad uscire dai suoi guai fiscal-giudiziari con il solito falso fascicolo aperto alla procura di Siracusa, è la rappresentazione plastica del sistema creato dall’avvocato Piero Amara con la complicità dell’ormai ex pm Giancarlo Longo.

È rappresenta «una prostituzione toccabile con mano, sia della funzione difensiva che di quella giudiziaria». Sono durissime le parole contenute nelle motivazioni della sentenza d’appello, depositate in questi giorni, con cui nell’ottobre scorso il collegio presieduto dal giudice Francesco Tripodi ha trattato una delle tante tranche processuali del “sistema Siracusa”, l’inchiesta sulla sistematica attività di corruzione in atti giudiziari dell’avvocato Pietro Amara nata alla Procura di Messina e poi ampliatasi praticamente in tutta Italia con l’attività di più procure. In questo caso si trattava del troncone che vedeva come principale indagato l’imprenditore Ezio Bigotti, l’ex manager piemontese del gruppo Sti coinvolto anche nella vicenda romana degli appalti Consip.

La “perfetta simbiosi”

In realtà - scrivono i giudici -, i rapporti tra Amara e Bigotti travalicano il rapporto professionale legale-cliente, con una perfetta simbiosi di intenti e strategie che impone la totale condivisione del fattore vincente (di tipo corruttivo) che solo poteva portare a soluzione guai giudiziari che rischiavano in quel momento di travolgere l’imprenditore. È chiarissimo ed attendibile sul punto il Calafiore che riferiva di avere conosciuto il Bigotti solo nel 2014, in quanto presentatogli da Amara, il quale seguiva l’amico imprenditore (“gli faceva da chioccia a 360 gradi”, per ricordare le espressioni usate), non solo quindi sul piano della professione di avvocato. È del resto emerso che Bigotti aveva avuto rapporti con società riconducibili ad Amara, come la “Daggi” che assegnava le pratiche di natura civilistica allo stesso Calafiore o la “Peg Corporate”. Amara ammette al riguardo il rapporto anche amicale oltre che professionale, ma cerca di restare nel generico.

Il “regista raffinato”

Deve pertanto ritenersi - scrivono in un altro passaggio i giudici -, che su un piano indiziario “parlino” ben più efficacemente di una secca ed aperta chiamata in correità che nessuno dei due legali (Amara e Calafiore, n.d.r.) si è sentito di fare, i comportamenti tenuti nella gestione del procedimento dai correi del Bigotti, Amara, Calafiore e Perricone. Quelli di Amara, regista raffinato dell’operazione ad altissimo rischio di aprire un procedimento penale a Siracusa, quelli del Perricone che di Amara e Calafiore è il “braccio” armato, compensato come si è detto a suo modo dallo stesso Bigotti, per intercessione dei due legali, quello del Longo, l’unico che con un certo grado di onestà intellettuale ha ammesso di non potere certamente dir nulla del Bigotti col quale non ha avuto alcun contatto, certo però del fatto che il prezzo della corruzione fosse a lui corrisposto dall'imprenditore perché questo gli aveva detto Calafiore.

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