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Terremoto di Messina, il deputato Micheli e il generale Mazza: la faccia buona e quella cattiva dei primi soccorsi

La gestione del militare dello "stato d'assedio" fu aspramente criticata

Il re Vittorio Emanuele III a Messina dopo il terremoto del 1908

All’alba del 28 dicembre 1908, un terremoto d’inaudita violenza sconvolse lo Stretto, Messina tremò a lungo. Macerie ovunque, migliaia i morti e sepolti vivi. Un’apocalisse che permane nella comune memoria. Non tardarono i soccorsi. Dalle navi all’ormeggio nel porto, si videro subito sbarcare uomini e viveri. Il 29 dicembre, al levare del sole, approdarono le navi russe e appena dopo, quelle inglesi. Gli scampati ne trassero sollievo. E tuttavia il caos dominava.

Incuranti del pericolo, i superstiti s’ostinavano a restare presso le case distrutte, a scavare nelle rovine. Svanita d’incanto ogni norma di civile convivenza, ognuno badava a sé. Impotenti le autorità locali, nella città ferita vagavano gli sciacalli. Il 30 dicembre, il re Vittorio Emanuele III fu a Messina. Al cospetto della catastrofe “restò muto e impallidì”. Si convinse che così tanta anarchia non era tollerabile, e decretò lo “stato d’assedio”.

Due personaggi si distinsero nelle prime convulse settimane del dopo-terremoto: il generale Francesco Mazza e l’onorevole Giuseppe Micheli. Ieri alle 16 ai Giardini a mare “G. Micheli” si è tenuto un incontro commemorativo dedicato al benefattore parmense, promosso dal Comitato guidato da Piero Chillè in collaborazione con l’Associazione “Antonello”.

Lo stato d’assedio entrò in vigore il 4 gennaio. Con la nomina a regio commissario straordinario, il conte Francesco Mazza di Rivanazzano, 67 anni, generale comandante il XII Corpo d’armata, assunse i “pieni poteri”. Di tale misura straordinaria, i messinesi seppero da un “proclama” che recava la firma di Mazza e apriva il primo numero di “Ordini e Notizie” datato 10 gennaio 1909. “L’immane disastro che ha gettato nella miseria e nel lutto questa nobilissima provincia”, proclamava il regio commissario, “la necessità di dare il primo assetto ai pubblici servizi e far giungere alla popolazione i più pronti e i più efficaci soccorsi, il dovere di tutelare le persone, la proprietà e gli averi; il fermo proposito di agire sommariamente contro i rapinatori e saccheggiatori, imposero al Governo del Re di decretare lo Stato d’Assedio nel Comune di Messina, concentrando nella mia persona le attribuzioni militari e civili…”.

Della molto discussa “gestione” dello stato d’assedio diede precisamente conto “Ordini e Notizie”, del quale uscirono sedici numeri, tra il 10 gennaio e il 16 febbraio 1909. Fondato e diretto da Giuseppe Micheli, tal foglio contribuì non poco a orientare i superstiti, a informarli puntualmente sull’assistenza sanitaria, sui servizi pubblici, sul movimento portuale, sulle oblazioni pervenute, sui criteri di assegnazione dei viveri e degli indumenti. Ospitava anche annunci pubblicitari, segno che la vitalità economica cittadina non era del tutto spenta. E naturalmente dava il giusto spazio ai “bandi” del generale Mazza.

Giuseppe Micheli, trentaduenne deputato parmense vicino a Don Sturzo, quand’ebbe sentore del terremoto venne subito a Messina e si votò senza esitare ai soccorsi. Portò con sé cospicui fondi offerti dalla Cassa di Risparmio di Parma e dai suoi concittadini, che utilizzò accortamente facendosi presto stimare dai messinesi. Provvide immediatamente ad attivare alcuni fondamentali pubblici servizi nella piazza San Martino, allestiti in sette baracche. Tra i servizi così ripristinati, la distribuzione e il recapito dei telegrammi, il ricevimento delle domande per scavi e ricerche, il rilascio dei permessi, l’assegnazione di viveri, l’anagrafe, l’assistenza sanitaria, le celebrazioni religiose. Una salutare boccata d’ossigeno, a fronte delle mal digerite restrizioni imposte dall’inflessibile generale lombardo. Dell’opera di Micheli si conserva perenne memoria nel volumetto “Michelopoli” di Attilio Salvatore, apparso nel 1939, ristampato nel 1958 e nel 2007 a cura di D. Caroniti.

Il 4 febbraio 1909, superata ormai la massima emergenza, il re decretò la cessazione dello stato d’assedio, a decorrere dal 14 febbraio. La “gestione” del quale fu allora, ma non finisce di esserlo, al centro di aspre critiche. Non pochi, ancor oggi, continuano a giudicare il generale Mazza “modesto di iniziativa e d’ingegno”. Egli non esitò -dicono - a “sacrificare le vite umane agli averi”. Arrivò al punto “d’interrompere la distribuzione di viveri agli scampati per forzarli all’esodo, persuaso com’era dell’urgenza di sgomberare la città”. E via dicendo. Ma, tutto sommato, qualche merito l’avrà pure avuto, se ottenne dal re la medaglia d’oro. E se Arnaldo Cipolla, giornalista assai stimato, così scrisse nell’ultimo numero di “Ordini e Notizie”: “Il nostro pensiero corre con gratitudine verso il generale Mazza, verso il quale parve lecito a ciascuno di fare risalire le responsabilità di una condizione di cose irrimediabili”.

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