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Tribunale di sorveglianza Messina: "Meno carcere e più misure alternative"

Intervista al presidente Francesca Arrigo

A cinque mesi dal suo insediamento dialoghiamo con il presidente del Tribunale di Sorveglianza, il magistrato messinese Francesca Arrigo, per un settore della giustizia molto spesso poco conosciuto.

Quali sono oggi i problemi più gravi che oggi ostacolano il lavoro dei Tribunali di sorveglianza?

«Svolgo le funzioni di magistrato di Sorveglianza dal 2010 e non ho mai avuto la percezione di gravi problemi che impediscono il lavoro del mio Ufficio; abbiamo, a fasi alterne, registrato ritardi nell'acquisizione delle relazioni richieste, ma niente di così grave da ostacolare in modo significativo il nostro lavoro per la trattazione dei procedimenti pendenti. Se poi invece il riferimento è alla effettiva rieducazione del condannato, che però non rientra tra le competenze del Tribunale, ma è obiettivo in generale della pena, anche nelle forme della misura alternativa, questa è legata, oltre che alle caratteristiche personologiche, alle risorse familiari e agli strumenti forniti dai Servizi sul territorio».

Come avete gestito le domande di scarcerazione legate all'emergenza Covid?

«Con la massima serenità, procedendo alle scarcerazioni per ragioni di salute solo in casi davvero critici, nei quali la permanenza in istituto avrebbe potuto arrecare un pregiudizio davvero irreparabile. Si è trattato di scarcerazioni relative a detenuti affetti da gravi patologie, in relazione ai quali sono stati gli stessi sanitari in servizio presso la struttura detentiva ad evidenziare che l'eventuale affezione da Covid sarebbe stata con esito infausto».

Sul giudice di sorveglianza in periodo di pandemia c'è stato, o c'è, secondo lei un peso psicologico maggiore? E le decisioni che riguardano i detenuti con patologie pregresse, quelli più esposti al virus?

«Devo dire che non ho avvertito né in me né nelle colleghe un peso psicologico particolare, abbiamo certo preso atto della situazione, ma è stata gestita con serenità e comunque il numero delle scarcerazioni da “Covid” è stato contenuto nei numeri. Sì, come ho già detto, le scarcerazioni hanno riguardato soggetti con patologie gravi e pregresse».

In Italia i detenuti sono grosso modo il doppio dei posti disponibili, nelle carceri della nostra provincia com'è la situazione?

«Allo stato attuale non registriamo sovraffollamento».

Il carcere oggi è veramente la nostra “extrema ratio” o no?

«Mi sembra di assistere in effetti ad un progressivo ampliamento delle misure alternative e della loro portata applicativa. A titolo estremamente esemplificativo basti pensare alla stabilizzazione della misura di cui alla legge 199/2010, all'innalzamento del limite edittale di pena per fruire del beneficio dell'affidamento in prova e ancora alla eliminazione di alcune preclusioni previste a pena di inammissibilità».

L'immagine italiana del carcere cosa ci dice, e in particolare quelli di Messina e Barcellona cosa ci dicono?

«Il carcere di Messina non registra particolari criticità; è dotato di Sai (è il cosiddetto Servizio assistenza intensificata, n.d.r.) e questo comporta la gestione di detenuti di spessore criminale diverso e maggiore di quelli che dovrebbero invece essere allocati in una casa di reclusione. Il passaggio della medicina penitenziaria all'Asp ha fatto registrare qualche iniziale disservizio, ma vedo una seria volontà di risolvere i problemi, quantomeno a livello locale… quanto al carcere di Barcellona, nel quale insiste una articolazione per la tutela della salute mentale, vi sono analoghi problemi, anche qui in via di risoluzione. Entrambe le strutture sono dirette da persone che hanno cura di offrire attività trattamentale. È noto il progetto teatrale, esistente presso il carcere di Messina-Gazzi e che si sta avviando anche presso il carcere di Barcellona. Vi sono anche altri progetti formativi, bloccati a lungo a causa della pandemia, ma che a breve dovrebbero essere attuali. Sia io che le colleghe frequentiamo personalmente le strutture detentive, certo il carcere non è un luogo ameno… vedo però una comunità in cui i ruoli sono “attenuati” dalla umanità delle persone. Faccio riferimento alla Polizia penitenziaria che nel distretto di Messina, per il quale posso riferire, mi pare nella gran parte collaborativa e soprattutto comunicativa… mi è capitato spesso che i detenuti delle due diverse strutture abbiano speso parole di elogio per il personale di Polizia penitenziaria».

Il carcere è diventato soltanto una “vendetta” della società oggi?

«Non credo che il carcere possa definirsi una vendetta, ci sono persone davvero socialmente pericolose, che hanno bisogno di contenimento e soprattutto di potersi confrontare per comprendere il disvalore delle loro condotte. Non bisogna dimenticare che molti autori di delitto vengono da contesti nei quali il reato non è neanche percepito quale disvalore».

La sua opinione sul tema dell'ergastolo ostativo?

«Penso che tutto ciò che viene cristallizzato e non consente di valutare la situazione concreta non possa dirsi confacente alla prescrizione secondo cui la pena debba avere anche un effetto rieducativo».

Le norme di cui si discute oggi sono un favore ai boss mafiosi?

«La tendenza è di evitare gli immobilismi delle norme che pongono preclusioni a pena di inammissibilità».

Tre temi cardine dal punto di vista tecnico-giuridico: la discrezionalità della magistratura di sorveglianza, e poi i suoi rapporti con l'amministrazione penitenziaria e la magistratura di merito. Oggi secondo lei si esplicano in maniera corretta oppure no?

«Quanto al profilo della discrezionalità, bisogna intendersi correttamente. La nostra è una discrezionalità “vincolata”, nel senso che la valutazione è comunque rigidamente ancorata all'esito dei dati acquisiti, e sul punto evidenzio che cerchiamo di avere informazioni complete e dettagliate. Quanto ai rapporti con l'Amministrazione penitenziaria, sono sempre stati improntati a correttezza, nel rispetto dei ruoli, che vedono certamente la magistratura di sorveglianza con funzioni di controllo. Considerato l'ulteriore profilo, io posso parlare anche alla luce della mia variegata esperienza personale, che è quella di giudice della esecuzione ora e di giudice della cognizione nel passato… non ritengo che si possa parlare di interferenze tra la magistratura che si occupa della cognizione e quella che si occupa della esecuzione, si tratta di fasi diverse temporalmente e nelle quali vengono in valutazione elementi diversi. Il giudice della cognizione deve valutare il fatto di reato, il magistrato di sorveglianza deve invece partire dal fatto, anzi dai diversi fatti di reato per valutare la persona del reo, il suo vissuto e tutti quegli elementi che possono essere utili per comprendere se il soggetto possa o meno fruire di benefici penitenziari».

È soltanto un luogo comune ormai, secondo lei, il concetto che il giudice di sorveglianza “demolisce” le sentenze dei colleghi, oppure ci sono delle correnti di pensiero che ragionano ancora in questo modo?

«In verità non ho mai avuto questa percezione, esiste la previsione legislativa delle misure alternative e in generale dei benefici penitenziari, che devono quindi trovare applicazione. Non mi pare ci sia spazio per parlare di “demolizione” delle sentenze, come ho già detto la magistratura di sorveglianza parte dalla valutazione della sentenza, ma deve tenere conto di tanti altri elementi… forse questo all'occhio del profano della materia può apparire una demolizione».

La figura dell'esperto del Tribunale di sorveglianza secondo lei ha bisogno dei correttivi anche dal punto di vista legislativo oppure va bene così com'è stata delineata? Nella pratica quotidiana viene applicata la previsione legislativa?

«Se la domanda significa se gli esperti hanno un peso nelle decisioni, la risposta è certamente sì… chiaramente nella valutazione del settore di competenza, anzi evidenzio l'importanza del ruolo degli esperti, che con la loro esperienza professionale, di medici, psicologi, assistenti sociali, ci fanno meglio comprendere appunto la persona, che come ho evidenziato è l'entità in valutazione».

La sottile linea di demarcazione tra il fine rieducativo e il fine vessatorio del carcere, e lo sbilanciamento evidente oggi verso il secondo profilo secondo lei come si risolve? Insomma quando il detenuto deve essere rimesso in libertà?

«Quando ha dimostrato di avere avviato, sia pure a livello embrionale, un percorso di revisione critica del vissuto criminale, chiaramente poi la valutazione sarà più rigorosa in relazione anche alla entità della pena espianda e soprattutto al profilo di pericolosità sociale che viene in valutazione…».

Il tema dell'accesso al lavoro è centrale, cosa si deve fare per questo ambito? Cosa pensa dell'accesso al volontariato?

«Certamente una prospettiva lavorativa ha un valore prognostico importante, ma non tutti i condannati ne hanno la possibilità. L'espletamento di attività di volontariato è certamente una valida alternativa, nella misura in cui venga portata avanti con serietà e impegno. Cerchiamo di stare attenti alle attività di volontariato o alle attività lavorative di “facciata”, acquisendo informazioni di Ps prima della concessione dei benefici e relazioni Uepe quanto all'effettivo svolgimento delle attività».

Uno dei principali problemi secondo molti addetti ai lavori è la tempistica delle decisioni, cosa si può fare per rendere più celeri le vostre decisioni, è solo una questione di organici?

«Non ho mai pensato alla tempistica delle decisioni come un problema del mio ufficio, è successo che certamente nel periodo dell'emergenza Covid la gran parte dei procedimenti ha subito rinvii d'ufficio, ma non per disservizi, bensì per previsione legislativa volta ad evitare il diffondersi del contagio… i procedimenti pendenti presso il mio ufficio allo stato sono tutti fissati e contenuti nel tempo. È poi possibile che il singolo procedimento possa subire rinvii per la necessità di acquisire relazioni che tardano ad arrivare, ma si tratta di variabili esterne al mio Tribunale. Ho recentemente sottoscritto un protocollo con l'Uepe di Messina proprio per evitare inutili udienze e ottimizzare le risorse in atto esistenti».

Le è mai accaduto di aver preso decisioni di cui poi si è pentita?

«No».

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