Confermata in via definitiva la condanna a un anno e 10 mesi, con l’aggravante del metodo mafioso, per Giovan Battista Ventura, ritenuto reggente dell’omonimo clan di Vittoria (Ragusa), accusato di minacce di morte e tentata violenza privata ai danni del giornalista Paolo Borrometi, vicedirettore dell’Agi, per le sue inchieste sulla criminalità organizzata vittoriese. Lo ha deciso la quinta sezione penale della Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso dell’imputato presentato contro la sentenza con cui la Corte d’appello di Catania, nel giugno 2020, aveva condannato Ventura riconoscendo la sussistenza dell’aggravante mafiosa. Anche il sostituto pg Paola Filippi, nella sua requisitoria finale, aveva chiesto alla Corte di dichiarare inammissibile il ricorso di Ventura.
Al centro del processo, le minacce nei confronti del cronista tra le quali «Ti scippo la testa, sarò il tuo peggior incubo e poi ci incontreremo nell’aldilà; se vuoi ci incontriamo anche negli uffici della Polizia, tanto la testa te la scippu u stissu; tu ci morirai con il gas; ti daremo in bocca ciò che meriti; durerai poco cesso di merda, tutti avete figli, ma dire questa acqua non ne bevo; vi auguro sempre il meglio; pezzo di verme troppo bordello stai facendo, vai a cacare che Dio di fulmini, avete finito di rompere i coglioni. Ti verremo a prendere ovunque».
Nel corso del processo di primo e secondo grado, a confermare il calibro del Ventura e le minacce verso Borrometi, anche i collaboratori di giustizia fra cui l’ex genero del boss, Rosario Avila. Parti civili nel procedimento sono state, oltre a Borrometi, la Fnsi, l’Ordine nazionale dei giornalisti, il Comune di Vittoria e l’Ordine dei giornalisti della Sicilia.
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