Messina

Giovedì 28 Novembre 2024

Messina, chiesti 3 anni per il sindaco Cateno De Luca

Alla fine dei giochi giudiziari e al diciottesimo processo subito la migliore arringa in fondo se l’è fatta lui, il sindaco Cateno De Luca, nelle dichiarazioni spontanee rese in aula, che avrà preparato studiando tutta la notte. Ma la sentenza non è arrivata come sperava, perché il giudice monocratico Simona Monforte dopo aver ascoltato tutti prendendo spesso appunti, ha rinviato il processo per l’atto finale al 10 gennaio, a dopo Natale, per emettere il suo verdetto. In questo tempo resta quindi come sospesa la richiesta a tre anni di reclusione per il sindaco che ha avanzato il pm Francesco Massara, il quale ha spiegato che per la Procura nella vicenda del Caf-Fenapi, la creatura di De Luca che è ormai radicata in tutta Italia tra patronati e centri di assistenza fiscale, si sono verificate sia l’evasione fiscale per circa un milione e 750 mila euro tra il 2009 e il 2012 e la catena delle false fatturazioni per occultare guadagni all’Agenzia delle Entrate e alla Guardia di Finanza. La giornata giudiziaria è cominciata abbastanza presto, intorno alle 11.30, ed erano già passate le sei del pomeriggio quando è finita, con qualche breve pausa di non più di dieci minuti a volta dopo ogni intervento.

Gli imputati

Oltre all'ex deputato regionale Cateno De Luca e al suo collaboratore Carmelo Satta, ex sindaco di Alì, sono coinvolti nel processo Cristina e Floretana Triolo; l’ex sindaco di S. Teresa di Riva Antonino Bartolotta, Giuseppe Ciatto, Francesco Vito, Carmelina Cassaniti e Fabio Nicita. Tra gli imputati c’è anche la srl Caf Fenapi. Le Triolo sono due collaboratrici di De Luca e lavorano anche alla Fenapi, Ciatto è un commercialista che fa le dichiarazioni fiscali del Caf-Fenapi, Nicita è il vicepresidente del cda della Fenapi, Cassaniti legale rappresentante del Caf Fenapi, Bartolotta è uno stretto collaboratore di De Luca, e Vito è il responsabile dell'area fiscale del Caf-Fenapi (le qualifiche si riferiscono ovviamente all’epoca dei fatti).

La requisitoria

Ha cominciato il pm a parlare ieri mattina, Francesco Massara, che ha ricostruito l’intera vicenda tirando fuori per l’atto finale anche la citazione di alcune fatture che proverebbero secondo l’accusa il cosiddetto “disegno criminoso” di frodare il fisco. «Il contenuto delle intercettazioni - ha detto tra l’altro il pm - , è un affannarsi nel cercare di elaborare una documentazione palesemente, una falsa rappresentazione al fine di fornire giustificazioni. Quando un’imputata parlando con De Luca gli fa presente che i conti non tornano, gli si dice, si fa riferimento a “cipria”, a qualcosa priva di sostanza che serve a mascherare altro. Espressione che rende bene l'idea: è un trucco quello che si sta facendo». Ed ancora, sempre il pm: «... è un imbrogliare le carte continuamente, un gestire tutta la documentazione contabile al fine di ingannare». Poi il pm Massara è passato agli aspetti tecnici, che «... in questo processo sono importanti... una prova così forte che quelle spese non sono state sostenute da Fenapi, difficilmente è stata raggiunta in altri processi, qui abbiamo una prova piena... il “dominus” di fatto, colui che aveva l’ultima parola era Cateno Roberto De Luca». Tirando poi le fila di tutto il pm Massara ha depositato agli atti una memoria scritta di 85 pagine ed chiesto la condanna a 3 anni di reclusione per De Luca e per Carmelo Satta, l’ex sindaco di Alì che all’epoca presiedeva la Fenapi ed era stretto collaboratore di De Luca, e a 2 anni di reclusione per il commercialista Giuseppe Ciatto, che si occupava della contabilità. Per tutti gli altri imputati il pm ha chiesto poi l’assoluzione con la formula dubitativa dell’art. 530 comma 2 c.p.c. («non sono emersi elementi per affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità degli altri imputati in merito ai delitti loro contestati»). Il magistrato ha anche affermato che il «capo b (riferibile all’anno d’imposta 2009) è estinto per intervenuta prescrizione». Subito dopo è intervenuta l’Avvocatura dello Stato, l’avvocato Roberto Antillo parte civile pe l’Agenzia delle Entrate, che s’è associato alla richieste dell’accusa.

Le arringhe

Ad aprire il ciclo delle arringhe difensive in una materia molto complessa è stato ieri l’avvocato Emiliano Covino, seguito poi dai colleghi Carlo Taormina, Giovanni Mannuccia, Massimo Brigandì, Maria Grazia Bertilone e Tommaso Micalizzi. L’avvocato Covino ha sviscerato dei temi molto complessi di diritto tributario, ragionando per esempio sul fatto che l’inchiesta prima e il processo dopo non hanno affatto inquadrato la realtà dei rapporti concreti, dal punto di vista del regime fiscale da applicare, tra le diverse entità della galassia Fenapi, ovvero il Caf, la struttura nazionale e i patronati o circoli territoriali, oppure parlando di una vera e inutile duplicazione del processo tributario realizzata “nel” processo penale. Il prof. Carlo Taormina dopo aver ripercorso l’intera vicenda che ha coinvolto De Luca in questi anni, non soltanto per quest’ultimo processo ma anche in quelle precedente, ha concluso chiedendo l’assoluzione: «Credo che sia arrivato il momento di dire basta a questo processo che non può non concludersi con l’assoluzione perché i fatti non sussistono». E poi l’avvocato Giovanni Mannuccia, secondo cui «il pm nella sua requisitoria ha solo parzialmente citato il provvedimento del Tribunale del Riesame, rilevando che comunque la stessa Autorità ha lasciato spazio ad approfondimenti dibattimentali che avrebbero dimostrato la colpevolezza degli imputati De Luca, Satta e Ciatto, specie in ordine alle varie pronunzie delle commissioni tributarie. Il Tribunale del riesame accogliendo all’epoca il gravame degli imputati ha chiaramente rilevato che “i riferiti canoni di valutazione, propri del processo tributario, non possono tuttavia essere trasposti automaticamente in quello penale”». Ed ancora: «il pm non ha in alcun modo citato le argomentazioni esposte dal gup Finocchiaro che si era pronunziato in ordine alla insussistenza del reato associativo e del gup Pagana che, con il rito abbreviato, aveva assolto Domenico Magistro, componente effettivo e presidente del collegio sindacale del Caf-Fenapi. Ha poi non valutato che gli appelli proposti dalla Procura ai due ultimi provvedimenti sono stati rigettati dalla Corte d’appello». Quindi, secondo il legale, «le argomentazioni a sostegno della tesi accusatoria del pm sono del tutto insussistenti e sono state smentite dal giudicato cautelare cristallizzatosi, e dalle pronunzie dei gup Finocchiaro e Pagana, confermate in sede di appello».

Le dichiarazioni di De Luca

Nel corso dell’udienza, e precisamente dopo l’arringa dell’avvocato Covino, il sindaco De Luca ha rilasciato alcune dichiarazioni spontanee affermando, tra le altre cose che «i miei redditi sono frutto della mia onestà», e «non sono mai stato un amministratore di fatto del Caf-Fenapi: è una insinuazione da parte dell’accusa che respingo con forza, sono un manager che ha creato la Fenapi, mi occupo di patronato dall’età di 15 anni, e stiamo parlando di una struttura presente in 78 province e 19 regioni». De Luca ha poi sottolineato più volte che questo processo penale sembra la replica del processo tributario. «Sono stati undici anni nel tritacarne, con 17 processi e 2 arresti. Quella di stasera - ha detto poi il sindaco - è un’udienza del diciottesimo procedimento penale che ancora mi vede incensurato e che ha causato il mio secondo arresto l’8 novembre 2017, successivamente ritenuto ingiusto in tutti i gradi di giudizio». «Speravo si concludesse con la sentenza - ha commentato al termine il sindaco -, purtroppo non sarà così. Oggi in 40 minuti ho ribadito l’ingiustizia che sto subendo nell'essere in questa aula giudiziaria. Dovrò aspettare il 10 gennaio, speravo in un Natale con un pizzico di serenità dopo 10 anni. Purtroppo non è così, dobbiamo attendere».

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