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Messina, compra una moto al figlio con 500 euro falsi. Condannato

Una moderna famiglia Passaguai dedita ai “prelievi” di merce senza pagamento alcuno, mettendo in bella mostra sul bancone del commerciante turlupinato di turno una banconota addirittura da 500 euro, che però si rivelava clamorosamente falsa, posticcia, di quelle che adoperano presunti maghi e sedicenti cartomanti per attirare l’attenzione in strada.
È la storia finita in un’aula di tribunale davanti al giudice monocratico Rita Sergi, la quale l’altra mattina s’è vista comparire davanti marito e moglie, mentre il figlio ha seguito altre strade giudiziarie solo perché minorenne all’epoca dei fatti (motivo per cui non forniremo i nomi dei genitori, per tutelare il minore, n.d.r.).
La vicenda s’è snodata nell’aprile del 2019 quando il padre, accompagnato dalla moglie, si presentò con il figlio e la moglie in un negozio di giocattoli della città per “acquistare” una mini moto da cross, valore commerciale circa 800 euro.
Cominciarono le trattative con il commerciante, nel corso delle quali il 36enne per accreditarsi come “danaroso” mise in bella vista sul bancone il proprio portafogli-porta carte di credito, all’interno del quale spiccavano pronti per la sbirciata anche una banconota da 500 euro e una da 5 euro.
Tutto tranquillo, avrà pensato il commerciante quella mattina, questo i soldi li ha e vado liscio. In forza del denaro “sonante” esibito fu lo stesso esercente, dopo che il figlio ebbe scelto la moto da comprare, ad aiutare padre-madre-figlio a sistemare il mezzo sull’auto, tra convenevoli e consigli per gli acquisiti. Il tempo di girarsi qua e la che il terzetto era scomparso, e sul bancone rimase quel portafogli con la banconota falsa da 500 euro e quella vera da 5 euro. In questa storia l’uomo era accusato di furto e la donna in sostanza di aver fatto da “palo”.
La seconda puntata calendarizzata dai capi d’imputazione addebitati al terzetto avvenne in un negozio di articoli elettronici, con l’impossessamento di un computer Asus, valore stimato circa 200 euro. Dinamica un po’ diversa: il padre distrae la commessa chiedendo un’informazione e il figlio nasconde svelto il computer sotto la maglietta e fugge via.
Per queste due imprese marito e moglie l’altra mattina erano accusati di furto, e si prospettava una condanna a 2 anni ciascuno come da richiesta dell’accusa. Eppure il loro difensore, l’avvocato Salvatore Carroccio, è riuscito a far derubricare il reato da furto a truffa, spiegando tra l’altro che, in relazione alla storia della moto «... la consegna del bene è stata frutto di un atto dispositivo riconducibile alla libera autodeterminazione, seppur viziata, del venditore». Risultato? Il giudice monocratico ha riqualificato il reato da furto a truffa, ha condannato a un anno di reclusione il 37enne con lo “sconto” di pena per la scelta del rito, ed ha assolto la moglie «per non aver commesso il fatto».

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