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Condannato a Reggio nel processo d'appello "Gotha 3" il barcellonese Rosario Cattafi

Condanna di 6 anni. Un processo che serviva a definire un passaggio cruciale nelle dinamiche criminali di Barcellona e non solo, vista la caratura dell'imputato

Rosario Pio Cattafi

Sei anni. S’è chiuso con la condanna a sei anni il nuovo processo d’appello “Gotha 3” a Reggio Calabria per l’avvocato barcellonese Rosario Pio Cattafi, concluso a ben cinque anni di distanza dall’apertura dopo il rinvio della Cassazione. Un processo che serviva a definire un passaggio cruciale nelle dinamiche criminali di Barcellona e non solo, vista la caratura dell’imputato, coinvolto ed uscito sempre indenne dalle più importanti inchieste sulle commistioni mafia-politica-servizi deviati degli ultimi trent’anni: se sull’avvocato c’era il sigillo mafioso quantomeno fino ad un determinato momento storico, cioè fino al marzo del 2000.
Alla scorsa udienza, dopo la riapertura del dibattimento sollecitata a suo tempo dall’avvocato di parte civile Fabio Repici come rappresentante dell’Associazione nazionale familiari vittime di mafia, era stato sentito a lungo il collaboratore di giustizia ed ex capo dell’ala militare di Cosa nostra barcellonese Carmelo D’Amico. Che aveva sostanzialmente confermato le accuse nei confronti di Cattafi, risalenti alle sue deposizioni del 2015, sia nei verbali della Dda di Messina sia nei procedimenti in aula. Subito dopo il sostituto procuratore generale Antonio Giuttari, modificando le richieste iniziali di prescrizione del reato mafioso e di rideterminazione della pena per la calunnia a danno dell’avvocato Repici e del collaboratore Carmelo Bisognano, formulate in precedenza dal collega Giuseppe Adornato oggi pm a Messina, aveva sollecitato per Cattafi la conferma della condanna inflitta dalla Corte d’appello di Messina a 7 anni di reclusione.
La genesi del processo concluso ieri. Nel 2017 la Cassazione decise sul troncone dell’operazione antimafia “Gotha 3” dei carabinieri del Ros sulla famiglia barcellonese, gestito a suo tempo dagli allora sostituti della Dda di Messina Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo, che riguardava oltre a Cattafi anche il boss Giovanni Rao e il “cassiere” di Cosa nostra barcellonese Giuseppe Isgrò. Per loro due, con il rigetto dei ricorsi difensivi, le condanne d’appello decise a Messina nel novembre del 2015 diventarono definitive: 5 anni e 8 mesi per Rao, 7 anni e 6 mesi per Isgrò. Per Cattafi invece i giudici della V sezione penale dichiararono inammissibile il ricorso della Procura generale. E questo significò che cadeva definitivamente il ruolo di “capo” della mafia barcellonese che gli era stato attribuito in precedenza dall’accusa. Poi stabilirono che bisognava rifare tutto in relazione alla condanna a 7 anni decisa dalla Corte d’appello di Messina per la sua appartenenza all’associazione mafiosa barcellonese solo fino al marzo 2000, statuendo cioè definitivamente che dopo quella data non c’erano elementi sufficienti a supporto dell’accusa. All’epoca la Cassazione scrisse: «... annulla la condanna limitatamente al reato di cui all’art. 416 bis e dispone sul punto il rinvio dinanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria, eventualmente anche per il trattamento sanzionatorio». In appello, a Messina, nel 2015, la condanna era stata ridotta a 7 anni rispetto ai 12 inflitti in primo grado nel dicembre 2013. I giudici di secondo grado avevano rapportato la condanna per la sua appartenenza a Cosa nostra barcellonese solo fino al marzo 2000, non oltre.
Quello di Reggio Calabria è un procedimento che in questi anni è stato sempre aggiornato tra impedimenti dei giudici e degli avvocati, e per i problemi legati alla pandemia. E adesso si è finalmente chiuso. Cattafi inoltre è stato condannato alla refusione delle spese processuali - quattromila euro - in favore dell’Associazione nazionale familiari vittime di mafia e del Comune di Mazzarrà S. Andrea.
Il difensore di Cattafi, l’avvocato Salvatore Silvestro, ieri ha dichiarato: «Anche se la Corte d’appello ha ulteriormente ridimensionato la rilevanza delle condotte che i collaboratori ascrivono al mio assistito, a prima vista mi sembra che non siano stati tenuti in considerazione i rilievi che già la Corte di Cassazione aveva evidenziato sull’attendibilità di alcuni pentiti. Attendo il deposito delle motivazioni anticipando sin da ora l’impugnazione di detta decisione».
E l’avvocato di parte civile, Fabio Repici, ha commentato: «Per fortuna questa sentenza spezza le pretese di impunità incredibilmente proclamate per il mafioso Cattafi, esponente della famiglia di Cosa nostra più potente per i suoi legami con pericolosissimi settori deviati delle istituzioni. Ed è pure un soffio di speranza in più perché si riesca a fare luce piena per due delitti che hanno segnato la storia di Barcellona Pozzo di Gotto e dell’intera nazione: l’omicidio di Beppe Alfano e l’omicidio di Attilio Manca».
n.a.

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