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Da Fondo Saccà a Fondo Fucile, si spezza così il meccanismo perverso delle baracche a Messina

Non è solo l’assegnazione della casa alle famiglie baraccate ma si toglie alle mafie uno degli strumenti di controllo del territorio basato sulla gestione dei bisogni abitativi

Ci sono processi di trasformazione urbana in corso la cui rilevanza, forse, verrà compresa quando la cronaca diventerà storia. Siamo a Fondo Saccà, di fatto già a un passo da Maregrosso, in una delle zone dove si sta faticosamente costruendo, e immaginando, la Messina del futuro.

Fondo Saccà, finora, era un rione conosciuto solo per la sua baraccopoli. Ora quel nome è associato a un progetto, “Capacity”, del quale la stragrande maggioranza dei messinesi ignora il significato, ma che per i residenti di quella zona, che hanno abbandonato le baracche e sono diventati (parecchi di loro) proprietari di un’abitazione, rappresenta una svolta storica.

Alla fine del 2019, la Fondazione di Comunità che, insieme con il Comune (progetto avviato dalla Giunta Accorinti con la partecipazione al Bando nazionale Periferie e portato avanti con efficacia dall’Amministrazione De Luca e da Arisme), è l’artefice di “Capacity”, ha elaborato un Report dal titolo significativo: “Riqualificazione urbana e lotta alle diseguaglianze», a firma di Liliana Leone e di Gaetano Giunta. Quanto avvenuto e quanto sta accadendo in questo “microcosmo” messinese deve essere additato come esempio, come buona prassi, a differenze di tante altre pagine oscure del Risanamento.

Da dove si è partiti, lo sappiamo tutti e il nostro giornale, in prima fila, lo ha sempre denunciato. Il passato è brevemente riassunto in questa affermazione del segretario generale della Fondazione Gaetano Giunta: «Nel tempo, la “casa” è andata configurandosi come merce di scambio sottendendo un doppio ricatto: da un lato, quello politico-clientelare; dall’altro, quello del “baraccato” in attesa-pretesa di entrare in graduatoria.

Assai spesso l’incontro tra domanda e offerta del bisogno abitativo è stato gestito dalle mafie dei territori, che controllavano gli accessi abusivi alle baracche abbandonate delle famiglie alle quali veniva assegnata la casa popolare, determinando così chi avrebbe maturato in futuro il diritto alla casa. Questi meccanismi spietati di controllo delle persone in condizioni di povertà e di bisogno hanno strutturato negli anni dinamiche di dominio di poche famiglie mafiose sulle comunità che abitano in questo stato estremo di degrado strutturale».

Il “Progetto Capacity” è intervenuto come uno strumento di pianificazione innovativo, tale da spezzare, almeno in questa zona, quel perverso meccanismo che aveva garantito l’indisturbata “gestione” del governo della “favelas” da parte delle cosche.

Quella baraccopoli che sta cadendo sotto i colpi delle ruspe era abitata da 69 famiglie che hanno potuto scegliere una casa, 40 delle quali hanno deciso di acquistarla. Un totale di oltre 200 persone che, come sottolinea la Fondazione di Comunità, «sono state liberate da una condizione di degrado urbano estremo, fra amianto e cemento, da condizioni insalubri e da un destino obbligato di fragilità sociale. Ora tutte e duecento vivono altrove, in una casa scelta, dislocata in zone diverse della città. Perché, fra le tante cose inedite e straordinarie, il modello di riqualificazione urbana incarnato dal Progetto Capacity evita la riproduzione di quartieri ghetto e la costruzione di nuovo cemento». Fondo Saccà dovrebbe diventare un piccolo quartiere modello: con giardini, aree verdi, installazioni artistiche e un piccolo condominio ecologico. E ci sono «i prototipi ecosostenibili che la Fondazione ha già realizzato con fondi propri nella prima parte, liberata negli anni scorsi, di Fondo Saccà e dove oggi c’è il Centro socio-educativo “Il Giardino delle Zagare” e piccole abitazioni destinate a uso sociale. Prototipi costruiti con le tecnologie più avanzate all’insegna della sostenibilità ambientale: sistemi costruttivi in paglia pressata e legno, impianti fotovoltaici collegati a sistemi di mutualizzazione dell’energia, riciclo delle acque grigie per alimentare le aree verdi che circondano il condominio, sistemi sperimentali di domotica per la tutela della salute e per il risparmio energetico, sistemi di monitoraggio ambientale».

È lo stesso progetto che coinvolgerà anche l’altra baraccopoli, quella di Fondo Fucile. Le linee guida sono le stesse: «Sperimentare un processo pilota di rigenerazione sociale e urbana; generare connessioni virtuose fra sistema della ricerca scientifica e tecnologica e welfare di comunità; sperimentare nei piccoli condomini pilota sorti nelle aree sbaraccate i materiali, le metodologie costruttive e le tecnologie più avanzate dell’architettura e dell’ingegneria sostenibile; sperimentare per la realizzazione dei piccoli condomini pilota, pratiche di auto-costruzione assistita salariata che hanno consentito di intrecciare i processi di risanamento urbano con politiche di lotta alla povertà e di sostegno al reddito; trasformare le aree liberate dalle baraccopoli in “beni comuni” (parchi, spazi educativi, orti sociali, musei all’aperto d’arte contemporanea); promuovere lo sviluppo dell’imprenditorialità giovanile e sociale ed esperienze di emersione dal lavoro nero e irregolare, anche grazie a un sistema di finanza etica».
Il processo di sbaraccamento è avvenuto tramite due meccanismi: «1) Acquisto di unità abitative nel mercato immobiliare da parte del Comune e assegnazione delle stesse secondo metodologie partecipative; 2) istituzione di un capitale personale di “capacitazione” che rappresenta un contributo una tantum alle persone beneficiarie affinché possano autonomamente acquistare la propria casa, all’interno di un patto antimafia che riguarda non solo il passato, ma anche il futuro delle persone». E, in questo Progetto, «particolare cura hanno avuto e hanno le famiglie con bambini piccoli a carico. Il progetto ha infatti previsto, servizi di tutela e valorizzazione della prima infanzia e di contrasto alla povertà educativa».

Tra le testimonianze degli ormai ex baraccati, inserite in quel Report (che andrebbe studiato nelle scuole messinesi...), c’è una signora che dichiara: «Quando ci hanno presentato il Progetto Capacity non ci abbiamo creduto, sembrava un’utopia, una cosa impossibile. Eravamo perplessi, dubbiosi». Poi, il ruolo decisivo dei mediatori sociali, la sinergia tra Fondazione e Comune, la “capacità” di convincere quelle persone che un’altra vita era ed è possibile. E che a Messina non dovranno più esistere generazioni di “baraccati”, perché i meccanismi perversi che tenevano in piedi questo “sistema”, ora finalmente sono stati interrotti, se non cancellati per sempre.

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