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Messina, l'odissea di una 17enne: 8 ore per ricevere le cure. Il racconto del padre

Per i soccorsi sono servite due ambulanze e una notte intera di estenuante attesa

«Giovedì 16 settembre, ore 20. Sono ancora in ufficio. Mentre sto per andar via mi arriva una di quelle quella telefonate che nessun genitore vorrebbe mai ricevere». A parlare è un padre messinese che ci ha raccontato la sua disavventura. Ma torniamo a quella telefonata.

«“Vieni subito, tua figlia ha avuto un incidente con il motorino!”. È accaduto vicino allo svincolo di Giardini Naxos. Mi gela il sangue, scappo di corsa, mentre sto per arrivare scorgo in lontananza i lampeggianti di due volanti dei carabinieri, già presenti sul posto. Mi precipito, mia figlia è sdraiata sul selciato, grazie al cielo è vigile, “Papà stai tranquillo, sto bene!” mi dice. Poco più in avanti ciò che resta del motorino, spezzato in due parti.

Ovviamente – continua il racconto del professionista – non sono affatto tranquillo. La ragazza è sotto shock, insanguinata, un dente rotto, gli abiti in più parti strappati. Accanto a lei la sua amica che viaggiava sul sedile posteriore, per fortuna in piedi ma sanguinante a un braccio, terrorizzata e, si scoprirà dopo, con il gomito fratturato. Mi chino per terra, stringo la mano a mia figlia, cerco di rassicurarla, chiedo ai carabinieri presenti (che ringrazio di cuore per la professionalità e l’umanità con cui hanno gestito la vicenda), di chiamare l’ambulanza, “lo abbiamo già fatto due volte”, mi dicono.
Aspetto ancora un quarto d’ora prendo il telefono, compongo il 118, urlo di far presto. Mentre sono ancora in linea sento il suono della sirena (nel frattempo è trascorsa mezz’ora) mi rincuoro, chiudo subito la telefonata e aspetto che arrivi l’ambulanza.

Scende l’operatrice, guarda mia figlia, poi guarda me e mi dice “Non abbiamo il medico a bordo, non possiamo toccarla”. Vado su tutte le furie, chiedo cosa siano venuti a fare, l’altro operatore prende la situazione in mano e decide, comunque, di caricare mia figlia sull’ambulanza.
Bene, dico io rincuorato, “scappiamo in ospedale”. Eh no, mi dicono. Il pronto soccorso di Taormina (poco distante) è chiuso per sanificazione, non sappiamo quando riaprirà.

L’operatore chiama la centrale, gli dicono che bisogna andare al Policlinico di Messina (50 km distante).
Bene dico io, “Andiamo”! Eh no, mi dicono, “dobbiamo aspettare un’altra ambulanza con il medico a bordo, noi non possiamo”. Dopo un’altra mezz’ora (nel frattempo mia figlia e la sua amica non avevano ancora visto un medico!) arriva finalmente l’altra ambulanza con il medico che visita mia figlia, “i parametri vitali sono a posto” dice, ma ovviamente non sappiamo se e quante fratture vi siano e desta qualche preoccupazione il fatto che lamenti un forte indolenzimento al fianco sinistro.

Finalmente si parte alla volta dell’ospedale a Messina, mia moglie e mio figlio ci seguono in macchina. Dopo 30 o 40 minuti arriviamo al pronto soccorso generale del Policlinico. Mi sento più tranquillo, finalmente potrà ricevere le cure necessarie, penso. Accompagno dentro il pronto soccorso mia figlia, vedo che la sistemano all’interno di una stanza con altri 4 o 5 malati, altri ancora sono in corridoio.

Ci troviamo di colpo scaraventati in una bolgia infernale, tra urla, improperi, gente sanguinante, almeno un paziente positivo al covid in reparto, medici e infermieri trafelati. Passano le ore, mia figlia e la sua amica, doloranti e ormai insofferenti, continuano ad essere ignorate. “Abbiamo casi più gravi, deve attendere” mi dicono. È notte fonda, più o meno le 4 del mattino, mia figlia è stremata, non ce la fa più. Vado in escandescenza, urlo agli infermieri di farmi parlare con un medico, finalmente dopo otto ore dall’incidente, entra in sala medicazione del pronto soccorso del Policlinico. Ha un dente rotto, altri le si muovono, varie contusioni ed escoriazioni ma, per fortuna, dopo tutti gli accertamenti di rito, i medici non riscontrano nulla di grave. Sono le 6,30 del mattino, è l’alba. L’alba di una notte da dimenticare».

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