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La clochard uccisa a Messina, una dei tanti (troppi) "invisibili" della città

Così padre Franco Pati: «Mettiamo in campo tante azioni ma non è bastato»

Li chiamano “invisibili”. Sono quelle persone che vivono, per la loro situazione di difficoltà economica e sociale, ai margini dell’indifferenza generale. Invisibili perchè di loro non si parla mai, se non per gravissimi fatti di cronaca. Invisibili perchè molti se li incontrano sulla loro strada, fanno finta che non ci siano.

Molti di loro sono in quelle condizione di abbandono generale per via di dipendenze che azzerano ogni dignità. Altri hanno alle spalle delusioni, fallimenti, malattie e la storia di una vita “normale” alle spalle che però non sanno più raccontare.

È il caso di Cettina Gioè che a Palermo aveva casa e famiglia ma che in quella città non ci voleva più stare. Inutili i tentativi dei familiari di riportarla a casa. Per la verità c’erano riusciti la scorsa primavera, ma poi, dopo un periodo in cui la 68enne, con un evidente disagio psichico, sembrava tornata in sé, sono tornati i fantasmi e lei all’alba di un giorno come tanti ha preso il primo treno per Messina. Dove aveva chiuso i ponti con i suoi figli e con il marito. Nessun contatto perchè non voleva essere convinta a tornare dove non voleva più stare.

Ma quante Cettina Gioè ( e Pietro Miduri, l’uomo che è sospettato di averla uccisa è anche lui un clochard) ci sono a Messina?

Secondo le stime di chi si prende cura di loro sono circa 120. Un centinaio è inserito in strutture in cui ricevono assistenza diurna o notturna o entrambe. Una ventina sono fuori da questo sistema, ma pur sempre monitorati, magari a distanza, perchè non vogliono essere coinvolti. Cettina, per esempio amava vivere in strada, ma spesso era all’help center della stazione e, la notte a Provinciale nella struttura dell’associazione Santa Maria La Strada.

«Queste persone non vengono mai lasciate sole – dice Alessandra Calafiore, assessore alle politiche sociali del comune – C’è un lavoro sinergico quotidiano fra istituzioni e volontario. E il caso di Concetta Gioè ne è un esempio perchè, oltre a sostegno ottenuto all’help center, il tso che le fu fatto nacque proprio dalla paura che morisse di freddo visto che in inverno girava con vestiti estivi e rifiutava ogni aiuto. Casa di Vincenzo ospita oggi 15 persone ogni notte, abbiamo 12 alloggi di transito a Bisconte per emergenza e fasi di reinserimento in società, e poi c’è il pronto soccorso sociale a casa Serena con una decina di posti. E i volontari sono anche loro presenti al Cristo Re, con la Casa della Misericordia, in via Emilia. Adesso apriremo un centro solo per far avere i pasti alla stazione che si chiamerà “Mai più ultimi”. C’è una rete di controllo continuo, una rete fitta che lavora con grandi risultati».

Padre Franco Pati da 39 anni si occupa degli invisibili con la sua Santa Maria La Strada. «Il caso di Cettina, che noi conoscevamo benissimo – dice – per noi è un fallimento del nostro servizio. Lo è nonostante sia stato fatto tantissimo. Mi deprime che, nonostante i tanti servizi messi in campo, si possa fare questa fine. È un fallimento che lei fosse di notte in quel posto dove è stata uccisa e magari non in un posto sicuro. Era testarda, rifiutava aiuto, ma per me resta un fallimento perchè so quanti di questi casi siamo riusciti a evitare».
Poi padre Pati torna sugli ultimi giorni di Cettina Gioè. «Mi avevano detto che si accompagnava da qualche giorno con questo settantenne. Noi, attraverso la dottoressa Giorgianni che era fra le poche con cui dialogava, avevamo provato a farla mettere in contatto con il figlio. Ma non voleva parlarci. Nonostante per qualche mese fosse tornata, dopo le cure post tso, in famiglia. Poi è tornata a vivere qui e forse ha smesso di prendere le medicine che le avevano dato un po’ di equilibrio».

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