È una parola bellissima, che viene dal latino: pons, pontis. Il pontefice, prima di diventare sinonimo di Papa, era colui che costruiva ponti, pontis-facere, sul Tevere e nel resto del mondo. Per gli antichi Romani i ponti erano, insieme con le arene, le strade e gli acquedotti, opere necessarie come il pane e il companatico.
«Manufatto di legno, di ferro, di muratura o di cemento armato che serve per assicurare la continuità del corpo stradale o ferroviario nell’attraversamento di un corso d’acqua, di un braccio di mare, o di un profondo avvallamento del terreno», si legge nell’enciclopedia Treccani. «Che serve per assicurare la continuità...», in tutti i posti del pianeta, tranne che nello Stretto di Messina.
Il 29 luglio è una data importante, perché il ministro dei Trasporti Enrico Giovannini andrà in Parlamento e davanti alle Commissioni congiunte di Camera e Senato non solo relazionerà sull’esito dei lavori del Gruppo di esperti insediato dall’ex ministra Paola De Micheli (la relazione ormai è ben nota e la conoscono tutti i parlamentari) ma dovrà dire una volta per tutte cosa vuole fare il Governo, non potendo non tenere conto che la stragrande maggioranza di deputati e sostenitori che sostengono il premier Draghi sono a favore del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria.
Si dovrà uscire dall’equivoco, una volta per tutte, perché da questa scelta, volenti o nolenti, dipende il futuro dei nostri territori e non si può restare in bilico, sospesi sul Nulla, in attesa di Godot o dei nemici nel Deserto dei Tartari, che non arrivano mai.
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