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Messina, "così subivo minacce ed estorsioni dai membri del clan dei tortoriciani"

La testimonianza chiave nell’aula bunker di Messina durante l'udienza del processo

Altra giornata significativa, quella di ieri, nella lunga trama delle udienze del maxi processo “Nebrodi”, che vede sui banchi degli imputati la criminalità organizzata di Tortorici, oltre a fiancheggiatori e colletti bianchi vari, che la Dda di Messina ha inquadrato nel contesto dell’articolato sistema che per anni ha drenato milioni di euro di fondi europei destinati al settore agricolo verso le casse di aziende vicine ai clan. Nell’aula bunker del carcere di Gazzi, a Messina, sono infatti comparsi, per la propria testimonianza, Carmelo e Antonino Gulino, padre e figlio di Montalbano Elicona, le cui denunce sporte negli anni passati su danneggiamenti e furti ai danni dell’impresa di famiglia, oltreché tentativi di estorsione, sono finite negli atti dell’inchiesta.
Carmelo Gulino è l’unico imprenditore privato parte civile al processo “Nebrodi”. La sua costituzione, lo ricordiamo, proposta già all’udienza preliminare con la rappresentanza dell’avvocato Nino Todaro, riguarda in particolare le posizioni di Sebastiano Bontempo “biondino”, Giuseppe Costanzo Zammataro, Mario Gulino, Calogero Barbagiovanni e Sebastiano Destro Mignino. È durata quasi due ore e mezza la deposizione di Carmelo Gulino, che ha risposto all’incalzare delle domande del procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e del sostituto della Dda Francesco Massara, e quindi al controesame dei legali delle difese.

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