Due davano “fastidio” a Cosa nostra barcellonese, uno realizzava da esterno estorsioni a chi pagava la protezione e si poi lamentava, l’altro compiva furti per pagarsi la droga, poi quando era ubriaco parlava assai e minacciava di “buttarsi pentito”. Per la terza esecuzione c’era un boss sanguinario e violento che voleva ucciderne un altro e poi pretendeva di allargarsi ben oltre Terme Vigliatore. Storie di mafia massima e minima e a Barcellona Pozzo di Gotto, tra “pulizia etnica” per pesci piccoli che davano fastidio e “aggiustamenti” importanti per togliere di mezzo pezzi da novanta divenuti troppo ingombranti. Basti pensare che dagli anni ’80 a oggi di omicidi nel Barcellonese se ne sono registrati 270, con 34 casi di lupara bianca. E le causali sono sempre due: una pulizia interna all’associazione ai danni di chi “reclama spazio” e la punizione di chi crea disturbo all’attività dell’associazione, spacciando o commettendo furti. C’è anche questo nel processo “Nemesi”, che ieri ha registrato la richiesta di tre ergastoli da parte dell’accusa per il boss barcellonese Giovanni Rao, il padre-padrone della Cep, per l’ex agente penitenziario Sebastiano Puliafito, poi reinventatosi come imprenditore edile, e infine per il killer Antonino Calderone “Caiella”. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Messina