Tutto ribaltato. La Corte d’appello di Messina, a distanza di un anno esatto dalla sentenza di primo grado (23 maggio 2020), ha assolto, perché il fatto contestato non costituisce reato, tre sorelle di Capo d’Orlando e il marito di una di loro, nel frattempo deceduto ma ugualmente giudicato. Le tre donne erano state accusate di avere distrutto un testamento olografo e, per questo, il giudice monocratico del Tribunale di Patti Eleonora Vona le aveva condannate a 1 anno di reclusione, pena sospesa. Si tratta di Antonia Vito, 66 anni, Francesca Maria Vito, 60 anni e Tindara Vito, 59 anni. Al centro della vicenda la scheda testamentaria redatta da Francesco Vito, padre delle tre donne, distrutta da Antonia Vito per ammissione della stessa imputata, per impedirne la pubblicazione, stante che le ultime volontà del padre gratificavano maggiormente la sorella Laura, per poi procedere, dopo l’apertura della successione legittima, alla vendita di tutti i beni ereditari con la ripartizione del ricavato tra tutte le sorelle in parti uguali. Le imputate, difese dagli avvocati Portale e Rigoli, hanno giustificato il gesto di Antonia Vito, condiviso però anche dai restanti imputati, in quanto il testamento sarebbe stato poco leggibile e, comunque, per la sua distruzione sarebbe stata d’accordo anche l’altra sorella Laura. Senonché, dalla lettura della scheda e dall’esame dei numerosi testimoni escussi, era emerso che, anche se con qualche piccola difficoltà, a causa della grafia incerta per l’età avanzata del testatore, si comprendeva il contenuto del testamento, e poi nessun consenso aveva prestato Laura Vito per la distruzione del documento, e non poteva essere diversamente in considerazione dei conclamati rapporti conflittuali insorti tra le eredi subito dopo la morte del padre. Ma in appello tutto è stato ribaltato e con una formula ben chiara: il fatto contestato in origine «non costituisce reato».