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Messina, “Nebrodi”: concluso l’esame dei pentiti

Il maxiprocesso ai clan tortorciani che avevano monopolizzato il sistema delle truffe agricole con i fondi dell’Agea e dell’Unione Europea. Il racconto in aula di Barbagiovanni, Marino Gammazza e Costanzo Zammataro ha consolidato ancora una volta il quadro dell’ascesa dei Batanesi come gruppo egemone

Siamo già ad una quindicina di puntate per il maxiprocesso “Nebrodi” sulla mafia dei pascoli, che vede alla sbarra i gruppi mafiosi tortoriciani e una lunga lista di fiancheggiatori e colletti bianchi, la rete consolidata che ha truffato per anni milioni di euro all’Unione Europea sui contributi in agricoltura. Ed ha già un volto ben delineato il “maxi”, dopo le udienze che il tribunale di Patti presieduto dal giudice Ugo Scavuzzo ha tenuto da marzo in trasferta all’aula bunker del carcere di Messina. Le ultime due, consumate tra lunedì e martedì scorsi, hanno segnato per esempio un punto di svolta per quel che riguarda l’esame e il controesame dei tre pentiti del gruppo dei Batanesi che qualche settimana dopo il blitz, a gennaio del 2020, hanno deciso di diventare collaboratori di giustizia. Si tratta di Carmelo Barbagiovanni “muzzuni”, Giuseppe Marino Gammazza “scarabocchio” e Salvatore Costanzo Zammataro “patatara”, il cui apporto è stato fondamentale per ricostruire meglio la geografia mafiosa delle truffe. Nel processo principale sono stati ascoltati in aula e nel processo parallelo, quello dei giudizi abbreviati, hanno già registrato la condanna di primo grado, con il riconoscimento dell’attenuante prevista per i pentiti.

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