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Messina, le palazzine dello spaccio h24 e quelle cimici piazzate di notte nelle piante

La svolta nelle indagini è arrivata grazie alle microspie piazzate nelle piante sistemate davanti agli appartamenti

Mi fai quattro grammi di fumo... e uno di cocaina da fumare... Quando quella sera cominciarono finalmente a sentire le frasi dello spaccio, nella sala ascolto, quelli della Mobile capirono di aver veramente svoltato nell'inchiesta sul “condominio della droga” di via Seminario Estivo alla palazzina C delle Case Iacp, che sembra quasi una rima, un palazzone nuovo e pulito a ferro di cavallo, esterno giorno del rione Giostra, il quartiere-crocifisso destinato all'ombra del crimine, dove però ci vive da decenni tanta gente onesta che vorrebbe tanto togliersi di dosso questa patente sporca.

Per settimane i poliziotti si erano scervellati su come ascoltare le frenetiche trattative giornaliere senza dare nell'occhio e farsi scoprire, nel nuovo fortino blindato della droga che un po' ha soppiantato nell'immaginario collettivo criminale lo storico Isolato 13 sempre a Giostra, vecchio palazzo di mafia e armi seppellite, di marijuana e cocaina e amori maledetti, come quando quella bella ragazza bionda e d'occhi azzurri rovinò la sua vita senza saperlo, solo affacciandosi alla finestra che aveva appena 13 anni e un giovane boss se ne innamorò perdutamente, per poi chiedere alla madre se potevano uscire. Ma sono altre storie queste.

Il colpo di genio dell'indagine arrivò puntuale quando qualcuno, nell'ennesima riunione operativa, buttò lì la proposta concreta: “... e se muti muti piazzassimo le microspie nelle piante che ci sono nei pianerottoli, visto che le ordinazioni e le consegne avvengono tutte sulla porta di casa?”.

Era la quadratura del cerchio investigativo, e nel giro di un paio di mesi dopo aver collocato di notte le “cimici” nei vasi venne monitorata quella che il gip Tiziana Leanza nella sua maxi ordinanza di oltre mille pagine ha definito «preoccupante frequenza» dello spaccio al minuto nel senso vero del termine, per «un'ampia pletora di clienti», forte di una «articolata rete di rapporti», messo in pratica a seconda dell'ora e delle esigenze oltre che dai “capi” anche da mogli, figli, fratelli, zii, nonni e cugini. Per quella che il pentito Giuseppe Minardi, tra le carte dell'inchiesta, ha definito molto emblematicamente «la Scampia di Messina». Un solo dato significativo: tra il 2016 e il 2017 i gruppi monitorati hanno “collezionato” ben 1062 capi d'imputazione, che per la totalità sono acquisti e cessioni di droga di tutti i tipi e di tutti i prezzi, in un impressionante, veramente impressionante andirivieni giornaliero alle palazzine B e C del complesso Iacp controllato da motorini e vedette, e perfino dalle telecamere esterne con i monitor negli appartamenti, che non consentivano il minimo margine di errore per chi spacciava. Fin quando la polizia non ha messo le “cimici” nelle piante dei pianerottoli.

La «centrale dello spaccio»

Scrive il gip per codificare i risultati dell'indagine che «l'attività investigativa ha portato, con una chiarezza che non pare seriamente confutabile, all'emersione di un'articolata associazione criminale, operante nel rione messinese di Giostra, dedita alla gestione di un imponente traffico di droga destinata a essere immessa sul mercato messinese attraverso la creazione di una “centrale dello spaccio” localizzata nel plesso di case popolari di via Seminario Estivo e articolata in una pluralità di “punti vendita”, collocati nelle diverse palazzine del complesso residenziale, gestiti dai vari associati e utilizzati sia per lo smercio al dettaglio ai tossicodipendenti che come base per distribuzione all'ampia pletora di pusher, di regola anch'essi clienti, che provvedono a loro volta allo spaccio “al minuto” per autofinanziarsi, contribuendo a incrementare il mercato del sodalizio».

Dentro gli appartamenti

Il gip descrive anche le modalità precise ricostruite in ogni minimo dettaglio dalla Mobile: «all'interno di ciascun appartamento deputato a rivendita, e gestito da uno dei sodali (di regola il “capo famiglia”), la collaborazione del nucleo familiare, spesso allargato, consente il protrarsi dell'attività giorno e notte, senza soluzione di continuità. Accade, pertanto, che, in caso di impedimento temporaneo o permanente del “referente principale”, la vendita sia gestita dagli altri membri della famiglia, sempre all'interno della medesima palazzina, o demandata ai sodali che gestivano le altre piazze di vendita del gruppo criminale».

Il “cambio di palazzina”

E la frenetica attività di spaccio non si fermava nemmeno quando nei vari step dell'indagine, o per altre inchieste in corso, veniva arrestato qualcuno del gruppo. È sempre il gip Leanza che descrive la vicenda: «... emblematico, in tale senso, il travaso di clienti dalla palazzina B gestita da Arrigo Antonino alla palazzina C gestita da Stracuzzi Vittorio a seguito dell'arresto dell'Arrigo. Il complesso residenziale è strutturato come una vera e propria roccaforte munita di impianti di videosorveglianza che controllavano gli accessi, permettendo mediante schermi collocati all'interno delle abitazioni la tempestiva constatazione della presenza delle forze dell'ordine. A integrare i sistemi tecnologici di rilevazione si pone il più tradizionale metodo del “passaparola” sia tra “condomini”, che per il tramite dei clienti pronti ad avvisare gli spacciatori di eventuali controlli in corso».

I fornitori

Il gip descrive poi il settore dedicato all'approvvigionamento: «l'associazione può, inoltre, avvalersi di un'ampia rete di fornitori indispensabile per garantire il costante flusso di sostanza stupefacente di varie tipologie (cocaina, marijuana, hashish, skunk) che consentiva di far fronte a una siffatta incessante domanda d'acquisto, e della “protezione” di personaggi criminali di spicco, quale è emersa nel corso della trattazione degli attentati ai danni di Arrigo Angelo, Arrigo Paolo e Arrigo Gaetano».

Sequestrati beni per 300mila euro

La ricostruzione delle consistenze patrimoniali di alcuni degli indagati e dei relativi nuclei familiari e il rilevamento dei redditi annualmente conseguiti da ciascuno di essi ha permesso alla Squadra mobile, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia peloritana, di riscontrare una evidente sproporzione tra i beni posseduti e le loro effettive capacità economiche. Pertanto, il gip Tiziana Leanza, nel provvedimento cautelare dell'operazione “Market place”, ha disposto altresì il sequestro preventivo di beni mobili (autovetture e motoveicoli), immobili (appartamenti, garage, cantine) e utilità economiche presenti in conti correnti riferibili ai destinatari della misura cautelare. Il tutto per un valore complessivo di oltre 300.000 euro.

Il pentito Minardi:«Scampia a Messina»

«Non a caso - scrive il gip Leanza -, tale ramificata organizzazione viene definita dal collaborante Minardi Giuseppe “la Scampia di Messina”. Proprio i collaboratori con le loro dichiarazioni hanno fornito un significativo, ancorché ultroneo alla luce delle inequivocabili risultanze di indagine, riscontro alla bontà della tesi d'accusa. In particolare, l'esistenza di un'associazione con le caratteristiche appena descritte è confermata da Bonanno Gianfranco (“Stracuzzi Vittorio che abita in via Seminario Estivo non spacciava per conto dei miei fratelli. Lui ancora ora spaccia cocaina per conto suo e di Angelo Arrigo. Questo mi è stato riferito da Vinci Veronica”), e Minardi Giuseppe (“mi disse Albarino che a Messina, zona Giostra, in via Seminario Estivo vi era un grosso spacciatore di stupefacente”).

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