Messina

Sabato 23 Novembre 2024

Messina come Scampia, la guerra tra gli Arrigo e i Bonanno per lo spaccio a Giostra: 39 arresti

Nelle notte appena trascorsa, 350 operatori della Polizia di Stato sono stati impegnati in una vasta azione anticrimine che ha portato all’esecuzione di 52 misure cautelari emesse a carico di altrettante persone ed al sequestro di beni mobili, immobili ed altre utilità economiche. L’operazione, convenzionalmente denominata “Market Place”, rappresenta l’epilogo delle più recenti indagini condotte dalla Squadra Mobile e coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Messina, su un’ampia e pericolosissima compagine delinquenziale, formata da più cellule, dedita al traffico di sostanze stupefacenti e per lo più operante nel quartiere popolare cittadino di “Giostra”.

L'agguato agli Arrigo del gennaio 2017

L’azione investigativa che, con numerosi arresti, ha trovato la sua conclusione questa mattina, ha avuto genesi dagli approfondimenti svolti a seguito dell’agguato consumatosi il 25 gennaio 2017 ai danni di Gaetano e Paolo Arrigo, padre e figlio. I due, mentre si trovavano in Viale Giostra, venivano raggiunti da qualcuno che, a bordo di uno scooter, esplodeva al loro indirizzo dei colpi di arma da fuoco per poi dileguarsi. I colpi, sparati con un fucile, raggiungevano gli Arrigo, ferendoli agli arti inferiori. Solo qualche giorno dopo, il 28 gennaio 2017, sempre su viale Giostra, si registrava un altro significativo episodio intimidatorio: una Smart in uso anche ad Paolo Arrigo veniva incendiata. Anche  un altro componente della stessa famiglia degli Arrigo, pochi mesi prima, nel Settembre del 2016, era rimasto vittima di similare attentato a quello che aveva visto il ferimento di padre e figlio il 25 gennaio 2017.

Gli episodi collegati

Gli episodi cui si è accennato sembravano in qualche modo tra loro collegati e divenivano oggetto di attento vaglio ed approfondimento da parte dei Magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia messinese e degli Investigatori della Squadra Mobile. Fin da subito, le indagini si indirizzavano sulle componenti malavitose operanti nel quartiere di Giostra e si sviluppavano scandagliando le dinamiche criminali, soprattutto nell’ambito del traffico degli stupefacenti, che interessavano quel rione popolare cittadino. Peraltro, nel capoluogo, proprio in quella zona, si era già registrato, nel 2016, anche altro allarmante episodio allorquando, all’interno di un bar, venivano esplosi dei colpi d’arma da fuoco all’indirizzo di diversi soggetti riuniti e gravati da precedenti di polizia. Tanto faceva propendere per il fatto che, attorno al menzionato popoloso quartiere cittadino, ruotassero interessi da parte di più cellule criminali che, armi alla mano, si stavano affrontando per contendersi la supremazia sul territorio ed assicurarsi i migliori proventi derivanti dagli illeciti affari in materia di importazione e commercializzazione degli stupefacenti.

Le intercettazioni

L’imponente e conseguente azione di approfondimento investigativo condotta dalla Squadra Mobile consentiva, quindi, di fare luce sugli efferati ferimenti degli Arrigo e restituiva, inoltre, numerosissimi elementi indicativi di un intenso traffico di sostanze stupefacenti gestito all’interno del comprensorio edilizio di via Seminario Estivo, proprio ove risiede il nucleo familiare allargato degli Arrigo. Le intercettazioni telefoniche, ambientali, la visione delle immagini delle telecamere di osservazione, i tantissimi servizi dinamici sul territorio e gli innumerevoli riscontri all’attività di spaccio portavano, difatti, alla emersione di un’articolata associazione criminale, operante nel rione messinese di Giostra, dedita alla gestione di un imponente traffico di droghe di varie tipologie, destinate ad essere immesse sul mercato messinese attraverso la creazione di una vera e propria “centrale dello spaccio” localizzata nel plesso di case popolari di cui si è detto.

Le piazze di spaccio

L'organismo criminale era articolato in una pluralità di “punti vendita” collocati nelle diverse palazzine del complesso, gestiti dai vari associati e utilizzati sia per lo smercio al dettaglio ai tossicodipendenti che come base per la distribuzione degli stupefacenti ad un’ampia pletora di pusher, di regola anch’essi clienti, che provvedevano a loro volta allo spaccio al minuto per autofinanziarsi, contribuendo a incrementare così il mercato del sodalizio. All’interno di ciascun appartamento deputato a rivendita e gestito da uno dei sodali (di regola un membro dell’assetto familiare interessato), la collaborazione del nucleo familiare, spesso allargato, consentiva il protrarsi dell’attività giorno e notte, senza soluzione di continuità. Il complesso popolare era strutturato come una vera e propria roccaforte munita di impianti di videosorveglianza che controllavano gli accessi, permettendo mediante schermi collocati all’interno delle abitazioni la tempestiva constatazione della eventuale presenza delle forze dell’ordine. E, ad integrare i sistemi tecnologici di rilevazione di presenze “indesiderate”, veniva utilizzato il più tradizionale – ma pur sempre efficace – metodo del “passaparola” sia tra i “condomini” che per il tramite dei clienti pronti ad avvisare gli spacciatori di eventuali controlli in corso nonché quello delle vedette. L’associazione poteva, inoltre, avvalersi di un’ampia rete di fornitori indispensabile per garantire il costante flusso di sostanza stupefacente di varie tipologie (cocaina, marijuana, hashish, skunk), che consentiva di far fronte a una siffatta incessante domanda d’acquisto.

La Scampia di Messina

Assai significativa, circa la imponenza dell’organizzazione criminale si palesa poi la definizione data dal collaboratore di giustizia Giuseppe Minardi: “la Scampia di Messina”!!! L’attività di indagine ha portato alla luce un modus operandi assolutamente ricorrente nella cessione dello stupefacente, effettuato secondo uno schema fisso che prevedeva la ricezione dell’ordine davanti alla porta di casa, l’attesa dell’acquirente sul pianerottolo e la consegna della droga sempre all’esterno dell’abitazione. In caso di impedimento temporaneo o permanente del “referente principale”, la distribuzione degli stupefacenti veniva gestita dagli altri membri della famiglia, sempre all’interno della medesima palazzina, o demandata ai sodali che gestivano le altre piazze di vendita riferibili a medesimo gruppo criminale. Emblematico, in tale senso, è il “travaso” di clienti dalla palazzina “B”, gestita da Antonino Arrigo, alla palazzina “C”, di pertinenza dello Vittorio Stracuzzi, a seguito dell’arresto del primo.

La piramide della droga

La posizione centrale nel gruppo criminale oggetto di indagine era occupata da Angelo Arrigo, che, secondo le risultanze, ricopriva importanti funzioni di coordinamento delle diverse piazze di spaccio del comprensorio e di gestione del fiorente traffico illecito. Era proprio lui, infatti, a tirare le fila dell’organizzazione, curando l’approvvigionamento della droga, gestendo le negoziazioni sui quantitativi e sui prezzi, decidendo se e a chi condonare un debito o concedere uno “sconto” per l’acquisto di droga e risolvendo altri eventuali problematiche, per lo più connesse ai controlli delle forze dell’ordine (ad esempio, con il frequente ricorso a delle vere e proprie “vedette” che potessero tempestivamente dare notizia dell’arrivo di persone o autovetture “sospette”). Nella sua attività illecita, Angelo Arrigo risultava affiancato dal fratello Paolo, suo braccio destro, il quale svolgeva anche compiti di “custode” delle scorte di stupefacente detenute dalla associazione. Gli odierni arrestati Vittorio Stracuzzi e Girolamo Stracuzzi erano, poi, responsabili dell’attività di spaccio nello stabile “C”, mentre Antonino Stracuzzi e Antonino Arrigo erano “referenti” per lo stabile “B”. Ciascuno degli indagati era coadiuvato nell’attività di spaccio dagli altri componenti del gruppo familiare: in particolare, intorno alla figura di Vittorio Stracuzzi ruotavano, oltre al fratello e suo alter ego Girolamo, la moglie, Beatrice Rossano, la suocera Mariella Barbera (sorella dei collaboratori di giustizia Gaetano e Vincenzo Barbera), i cognati Stello e Pasquale e Pasquale Rossano e, infine, Marco Talamo. Tutti i soggetti, al pari dei numerosi altri destinatari dei provvedimenti cautelari, fornivano il loro utile contributo all’associazione indirizzando i clienti, segnalando eventuali situazioni sospette e rendendosi essi stessi protagonisti di alcuni episodi di cessione. Antonino Arrigo era attivo nella complessa gestione della “clientela” e veniva abitualmente aiutato dalla moglie, Ramona Assenzio che, pienamente compenetrata nei suoi traffici, accoglieva i clienti in assenza del marito, si premurava di informarlo, adottando plurime cautele comunicative, della presenza di acquirenti e si assumeva la responsabilità di gestire la delicata fase successiva all’arresto del coniuge, indirizzando la clientela da Vittorio Stracuzzi. Altro personaggio emerso dalle indagini e che gestiva un punto vendita di droga all’interno della palazzina “C” era individuabile nell’odierno arrestato Gianluca Siavash,  al quale sono stati “indirizzati” alcuni tossicodipendenti presentatisi alla porta di Vittorio Stracuzzi, vista l’indisponibilità di quest’ultimo. A pieno titolo inseriti nella consorteria criminale sono risultati, poi, Davide Puleo, Marzia Quartalaro Agliolo, Eugenio Sebenico, Giosuè Orlando e Carmelo Prospero che avevano il ruolo di rifornitori di droga del sodalizio, oltre che di clienti al dettaglio. Di non poco conto era altresì, per la cellula criminale qui in esame, la “copertura” data da Gaetano Barbera  – già collaboratore di giustizia e raggiunto dalla misura cautelare del massimo rigore eseguita nell’ambito dell’Operazione Antimafia convenzionalmente denominata “Predominio”, condotta a positivo compimento da questa Squadra Mobile nel dicembre del 2019 – agli Arrigo tramite Vincenzo Barbera, fratello del citato Gaetano e, a sua volta, destinatario di analogo provvedimento cautelare eseguito nel corso della medesima operazione Predominino.

L'altra cellula criminale

E ancora, le investigazioni condotte evidenziavano l’esistenza di un’altra organizzazione criminale, anch’essa operante nel quartiere Giostra della città di Messina, dedita all’acquisto, alla detenzione ed alla cessione di sostanze stupefacenti dì vario tipo (cocaina, marijuana ed hashish), nonché allo spaccio al minuto di tali sostanze. Capo promotore di tale associazione era da individuarsi in Antonio Bonanno, coadiuvato da Filippo Cannavò ed Edoardo Puglisi, soggetti deputati a detenere lo stupefacente del gruppo, nonché a svolgere attività di spaccio al minuto, da Veronica Vinci  (moglie di Antonio Bonanno), con il delicato incarico di “tenere la cassa” e riscuotere i proventi dell’attività di spaccio, Luigi Vinci, con il compito di bonificare i luoghi ove potessero essere installate delle microspie e Carlo Pimpo quale abituale fornitore in favore della associazione dello stupefacente. Un’associazione, quest’ultima, che, peraltro, poteva contare sulla disponibilità di armi da utilizzare per assicurare un efficace controllo del territorio e del mercato dello spaccio. Una disponibilità avvalorata non solo dai ferimenti dai quali l’indagine ha tratto spunto, ma anche dalle conversazioni captate, dalle immagini raccolte e visionate. Elementi cui deve aggiungersi anche, seppur a carico di ignoti, quello del rinvenimento di munizioni del 23 giugno 2017, in uno spazio condominiale delle case popolari di via Seminario Estivo. L’attività di indagine portava, infine, alla luce anche la compravendita di un ingente quantitativo di sostanza stupefacente acquistato dall’odierno destinatario di provvedimento restrittivo Pasquale La Rosa per il tramite del catanese Carmelo Amante (cognato del fratello di Antonio Bonanno), da fornitori della città etnea e destinato allo spaccio con la complicità di Salvatore e Simone Rolla.  Condividendo l’imponente quadro indiziario raccolto dagli investigatori della Squadra Mobile, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina – Direzione Distrettuale Antimafia, nella persona dei Pubblici Ministeri titolari delle indagini, richiedeva ed otteneva, dal competente Giudice per le Indagini Preliminari, la misura cautelare del massimo rigore per 26 indagati, quella degli arresti domiciliari per 13 soggetti e quella dell’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria per altri 13 individui.

Il sequestro di beni

La ricostruzione delle consistenze patrimoniali di alcuni degli indagati e dei relativi nuclei familiari nonché il rilevamento dei redditi annualmente conseguiti da ciascuno di essi permetteva altresì di ravvisare una sproporzione tra i beni posseduti e le loro effettive capacità economiche. Pertanto, il competente G.I.P., nel provvedimento cautelare in argomento, disponeva anche il sequestro preventivo di beni mobili (autovetture e motoveicoli), immobili (appartamenti, garage, cantine) ed utilità economiche presenti in conti correnti riferibili ai destinatari della misura cautelare. Il tutto per un valore complessivo di oltre 300.000 Euro Per il rintraccio e la cattura dei destinatari del provvedimento restrittivo in parola, la Squadra Mobile della Questura di Messina, unitamente al Servizio Centrale Operativo, ha agito sotto il diretto coordinamento della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato che ha inviato in Messina numerosi equipaggi dei Reparti Prevenzione Crimine provenienti dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Campania, dal Lazio e delle Squadre Mobili di Palermo, Reggio Calabria, Catania, Caltanissetta, Siracusa, Ragusa ed Enna. All’attività ha anche collaborato personale dei Commissariati di Pubblica Sicurezza Distaccati e Sezionali della Provincia di Messina, della D.I.G.O.S. dell’Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico e di ogni altra articolazione della locale Questura nonché della Polizia Penitenziaria operante nelle Case Circondariali ove si trovavano già ristretti alcuni soggetti destinatari delle misure cautelari emesse.   Domani due pagine di approfondimento con tutti i retroscena nell'edizione cartacea  

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