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"Sem" Di Salvo a Carmelo Giambò: quando il boss scrisse “Ciao carissimo compare...”

Tra le carte della vicenda c’è uno strano messaggio di auguri datato dicembre 2019 che Salvatore “Sem” Di Salvo inviò al suo affiliato Carmelo Giambò al vaglio della Dda

Salvatore "Sem" Di Salvo

“CIAO CARISSIMO COMPARE SPERO CHE QUESTE POCHE PAROLE VI VENGONO A TROVARE IN OTTIMA SALUTE. DI ME POSSO ASSICURARVI CHE STO BENE. CHIUDO CON UN ABBRACCIO E UN BACIO AFFETTUOSO VOSTRO COMPARE SALVUCCIO. SALUTATE MIA COMARE E ... MIO FIGLIOCCIO”.
Perché un boss barcellonese di primo piano come Salvatore “Sem” Di Salvo, che è succeduto a Giuseppe Gullotti nel governo di Cosa nostra barcellonese e si trova da anni rinchiuso al “41 bis” , prende carta e penna e scrive in perfetto italiano un biglietto di auguri nel dicembre del 2019 al suo picciotto e sottoposto Carmelo Giambò, anche lui al “41 bis”? C’erano messaggi subliminali in quel “semplice” biglietto d’auguri? Ma soprattutto, perché Giambò, visto il regime di massima detenzione di entrambi, viene quantomeno a sapere del biglietto, come lui stesso confessa ai magistrati della Dda messinese durante i colloqui del suo tentativo abortito di collaborare con la giustizia? Ci sono state delle falle nel sistema dei controlli carcerari? Com’erano da interpretare per Giambò quegli auguri del suo boss sicuramente inusuali in un contesto del genere, una modalità per lo meno strana e oltretutto difficile da rintracciare tra i precedenti di detenuti per reati di mafia ristretti in regime di “carcere duro”?
Sono questi gli inquietanti interrogativi che forse costituiscono il retroscena principale e la causale del “falso pentimento” di Giambò, i cui verbali sono finiti in qualche modo nel maxi procedimento Gotha 6 sulla mattanza di Cosa nostra barcellonese, attualmente in corso di svolgimento davanti alla corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Maria Pina Lazzara.
Retroscena che sono in corso di approfondimento da parte del procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e dei sostituti della Dda Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, e che oltretutto hanno costituito un argomento di discussione nel corso dei faccia a faccia riservati dei magistrati con il “dichiarante” Giambò dei mesi scorsi. Per comprendere soprattutto se dietro questo tentativo di pentimento non riuscito ci fosse un disegno ben preciso, ovvero quello di scagionare proprio Di Salvo e Gullotti dalla responsabilità dell’omicidio di Domenico Pelleriti, che per il boss Gullotti rappresenta concretamente l’ultima pendenza giudiziaria, visto che ha quasi finito di scontare i trent’anni di carcere per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Perché Giambò, nella sua prima versione poi rinnegata come falsa davanti ai magistrati lo aveva detto chiaro: «... Finché io rimasi presso questo casolare, non vidi né Gullotti Giuseppe né Sam di Salvo; né, successivamente, qualcuno mi disse che questi due soggetti erano stati presenti in quelle fasi, in quei luoghi».
«Giambò in occasione degli interrogatori del 4 dicembre 2020 e del 18 febbraio 2021 - scrivono i magistrati della Dda -, ha ammesso di avervi preso parte, negando di avere constatato la presenza, nelle fasi relative all’omicidio in questione, di Gullotti Giuseppe e Salvatore Di Salvo, circostanza che è stata, invece, affermata dai collaboratori di giustizia Gullo Santo e Siracusa Nunziato». Messi a confronto «... ciascuno dei collaboratori è rimasto sulle proprie posizioni».

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