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'Ndrangheta, operazione contro la cosca Pesce. Indagato anche imprenditore messinese

Dagli appalti nel porto di Gioia Tauro al pizzo chiesto ai cittadini che volevano semplicemente vendere un terreno. La cosca Pesce a Rosarno controllava tutto. Una ulteriore conferma alla pressione esercitata dal clan sulla cittadina della costa tirrenica è giunta dall’operazione «Handover-Pecunia Olet», condotta dalla Squadra mobile, dal Ros dei carabinieri e dal Gico della Guardia di finanza con il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria: 44 persone sono finite in carcere e 9 ai domiciliari, accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, detenzione, porto e ricettazione illegale di armi, estorsioni, favoreggiamento personale, aggravati dalla circostanza del metodo e dell’agevolazione mafiosa, nonché per traffico e cessione di sostanze stupefacenti. Indagati in stato di libertà anche tre poliziotti.

Coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri, dall’aggiunto Gaetano Paci e dai pm Francesco Ponzetta, Paola D’Ambrosio e Adriana Sciglio, le indagini hanno portato al sequestro di una cooperativa agricola e un’impresa individuale per un valore stimato di oltre 8,5 milioni di euro. L’inchiesta ha disarticolato le proiezioni della cosca, sia sul fronte delle attività tipicamente criminali connesse alla gestione del traffico di droga, alle estorsioni ed al "controllo" delle commesse di lavori gestite dalla Autorità portuale di Gioia Tauro, sia sul fronte economico-imprenditoriale, destrutturando la gestione monopolistica del settore della grande distribuzione alimentare.

Tra gli arrestati c'è anche un professionista, il commercialista Tiberio Sorrenti, considerato il mediatore tra la 'ndrangheta e gli imprenditori taglieggiati o disposti, secondo la Dda, a stringere accordi collusivi con la cosca Pesce. Tra questi l'imprenditore Rocco Cambria, di Milazzo, indagato per aver fornito «in qualità di amministratore legale della 'F.lli Cambria S.p.A.', un contributo causalmente diretto alla conservazione o al rafforzamento» della famiglia mafiosa. È accusato di associazione mafiosa, invece, Sorrenti che, secondo i pm, «si prestava alla tenuta delle scritture contabili alle ditte fittiziamente intestate a terzi soggetti, ma riconducibili alla cosca Pesce», «metteva a disposizione il proprio studio quale luogo privilegiato di incontro per affrontare questioni di interesse della cosca».

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