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L'esortazione di Michele Ainis: "Fermi tutti. Si liberi il waterfront di Messina"

Michele Ainis segue da giorni il dibattito che si è acceso in città: «Credo sia giusto discutere di scelte così rilevanti per restituire a Messina l'identità smarrita»

Michele Ainis

«Addio, disse la volpe. Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi». È il passaggio fondamentale, il più letto e più citato de “Il Piccolo Principe” di Antoine Saint Exupery. Ma in questo caso, l'essenziale deve ri-ridiventare visibile agli occhi.

- Prof. Michele Ainis, sappiamo che sta seguendo con grande attenzione il dibattito che si è sviluppato in città sull'affaccio a mare, dopo la demolizione del vecchio teatro in Fiera. Sappiamo anche che lei, tra i più illustri contemporanei messinesi, porta lo Stretto nel cuore, come dimostra anche il suo straordinario romanzo del 2018 “Risa”. Cosa ne pensa di tutto quello che sta accadendo?

«Io penso sia giusto dibattere su questo tema, vista la qualità del luogo in cui è collocata la cittadella fieristica, nel contesto urbano di Messina. Ho sempre pensato che impedire la visione dello Stretto sia stata una scelta claustrofobica e masochista, che ha privato Messina di gran parte della propria identità, le ha tolto il paesaggio, l'ha privata anche della sua vocazione turistica. Bisogna riaprire il fronte a mare, non solo in quel tratto, ma lungo tutti i chilometri di costa che si affacciano sullo Stretto»

- Si sta ricostruendo un vecchio edificio con il progetto di un'opera di architettura contemporanea. Perché è contrario?

«Sottrarre è più importante che aggiungere. È una lezione di vita, che abbiamo imparato tutti, io sostengo che uno scrittore si riconosce dal cestino dei rifiuti. Torniamo al nocciolo della questione: trovare l'essenziale. Quando fai un trasloco, ti rendi conto di quante cose inutili hai accumulato, è un momento faticoso ma creativo, elimini quel di più che ti era cresciuto addosso e magari scopri qualcosa che avevi conservato da qualche parte, che era nascosto alla tua vista, che ignoravi da tempo e che invece era più prezioso di tutte le altre cose accumulate negli anni. Ecco, Messina ha bisogno di “traslocare”».

- È in corso, però, un appalto e la titolarità delle aree è dell'Autorità di sistema portuale. L'intervento di demolizione e ricostruzione fa parte della programmazione incentrata nel Piano regolatore portuale approvato dopo decenni.

«Che vuol dire? L'Autorità portuale non sta sulla luna, sta sul territorio della città, i messinesi devono esercitare il loro diritto di decidere. Perché non si fa un referendum consultivo, che sarebbe uno strumento più idoneo ed efficace delle petizioni popolari. Non conosco lo Statuto del Comune di Mesina ma in questo caso sarebbe un importante esercizio di democrazia. Il referendum può diventare l'occasione per discutere della città, di cosa vogliamo che diventi, per restituirle l'identità smarrita. Non è soltanto quel piccolo pezzo in discussione, Messina ha bisogno di tanti interventi di sottrazione. Lo si vede dovunque, girando per la città. Quando venne ricostruita c'era un'aria, una spaziosità nel tessuto urbano, oggi soffocati dal troppo costruito, che poi si è costruito malissimo, diciamolo con chiarezza, brutte progettazioni, pessima edilizia. Un'occasione, dunque, non dico di riscatto ma di meditazione e di ripensamento».

Da giurista, ritiene che sia impossibile tornare indietro?

«Assolutamente no. Ripeto il concetto: la città non è proprietà dell'Autorità portuale. Si possono studiare ipotesi transattive, spostare il progetto da qualche altra parte, pagare al limite una penale, ma credo che la penale più costosa sia quella di creare una nuova cesura tra la città e il mare. Anche l'opera più bella, anche se trasferissimo nel quartiere fieristico il Colosseo, non sarebbe mai bella quanto la restituzione della veduta diretta dello Stretto».

Lei ha fatto cenno al riscatto della città. Cosa serve veramente a Messina?

«Io non ci ho vissuto negli ultimi decenni, però ogni volta che sono tornato ho visto un progressivo decadimento. E questo mi fa star male. I messinesi sembrano convivere con quello che definisco il “senso della sconfitta” che si portano appresso dalle distruzioni del terremoto e della guerra. C'è bisogno di restituire un po' di dignità e di orgoglio a questa città. E la vicenda della Fiera può diventare simbolicamente importante. Lasciare uno spazio vuoto, in questo caso, sarebbe una scelta di pienezza».

 

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