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Messina, "Io, medico-paziente e la mia odissea"

Il diario di un operatore sanitario impegnato sul fronte e risultato positivo al Covid-19

Giovanni Caminiti è un operatore sanitario di Medicina generale. Il suo diario da “paziente positivo al Covid” va letto, come un capitolo importante del libro dell’emergenza sanitaria che riguarda Messina, in particolare, ma forse anche tante altre città del Bel (Brutto) Paese.

La scoperta

«Domenica 10 gennaio, ore 1,30: malessere generale, temperatura corporea 38,5. Fulmine a ciel sereno». Comincia così il suo racconto. «Ore 9: arrivo al “drive in” di viale della Libertà per fare un tampone. Sono contento, non c’è nessuno, non perderò tempo. C’è vento, non prenderò freddo. Un addetto della Protezione civile mi ferma. “Desidera?”. “Vorrei fare il tampone, ho la febbre”. “Non può farlo qui. Lo fanno solo per appuntamento”. “Ma sto male, non c’è nessuno!”. Non serve insistere, devo andare altrove. Dove? Non mi è dato di saperlo. Provo al gazebo della Stazione marittima. Devo andare a piedi. Tira vento e ho freddo. Meno male che anche qui non c’è nessuno, ma qui si fanno i tamponi solo per chi è in transito. Il tono dell’umore comincia a calare. “Ma è un medico!”. Un addetto della Protezione civile, nonostante la mia mascherina, mi ha riconosciuto. “Fatelo passare … Vieni, siediti qui che ti fanno il tampone”. E se fossi stato un bracciante o un ingegnere? Un edile o un avvocato? Avere acquisito una laurea in Medicina mi ha dato un privilegio. Mi sono vergognato, ma ne ho approfittato. Positivo! Grazie ai colleghi dell’Usca, delicati, cortesi, efficienti. Bardati con tute, visiere e mascherine affrontano gli utenti e il virus. Ma gli utenti affrontano la disorganizzazione e l’inefficienza dell’ente pubblico oscillando tra file di ore per l’effettuazione di un tampone e il rifiuto ad eseguirlo anche mentre non c’è nient’altro da fare. L’ente pubblico ha trovato la soluzione a questa propria inefficienza: facciamo fare i tamponi ai medici di Medicina generale. Non importa se non hanno tute e visiere. Non importa se chi fa un tampone teme di essere positivo e quindi deve essere considerato pericoloso per chi esegue l’esame. Medici di Medicina generale come carne da cannone. Buttati allo sbaraglio con il consenso di qualche organizzazione sindacale che regala questi schiavi ai Sistemi sanitari nazionale e regionale sottoscrivendo accordi invisi alla maggioranza degli iscritti». Amare considerazioni di chi vive “sul fronte”.

L'isolamento

Il racconto riprende: «Tampone positivo. Mi sento smarrito. Che fare? Salgo in macchina penso a mille ma intanto sale la febbre. Isolamento a casa. Avverto: sto tornando e sono positivo. Sento al telefono lo smarrimento, lo colgo negli occhi di chi mi accoglie al rientro. Corro a chiudermi in camera. Ho bisogno dei farmaci. Dovrò rivolgermi al medico di famiglia ma è domenica. Ma sì, tanto i medici di Medicina generale, rispondono alle chiamate anche di domenica e si mettono a disposizione del paziente». Passano 24 ore, poi altre 24 ore. «Lunedì: febbre alta. Difficile farla scendere. Martedì: la febbre è alta e non riesco proprio a farla scendere. La saturazione di ossigeno, quella si, invece scende. Arriva la notte e cresce l’ansia per una situazione che non migliora. La luce dell’alba porta un po’ di conforto morale. La condizione generale però non migliora. Ho la necessità di capire di più. Non chiedo al medico di Medicina generale di venire a infettarsi a casa. Lo farebbe certamente ma mi metto nei suoi panni, non lo chiamo. Quindi Unità speciali di continuità assistenziale (Usca, per gli amici) nate per l’emergenza Covid19. No, dalla solerte Asp sono state destinate solo a fare tamponi. Ma stiamo scherzando? Cosa fanno fare a tutti i medici interni? Pare che, per esempio, presso i Punti di primo intervento (“Ppi”) non sia consentito l’accesso a pazienti ma siano presenti i medici lasciati lì a non fare nulla: preziose mani sottratte all’emergenza. Restano i missionari del 118, addetti a tutto. Chiamo. Non è facile prendere la linea. Poi: tutte le unità impegnate, a tempo indeterminato. È angosciato l’operatore della centrale operativa. Mi richiama ogni 6 o 7 minuti e mi aggiorna. “Si sta liberando un’ambulanza al Policlinico”. “Non posso mandarla, c’è un codice rosso”. “Se ne sta liberando un’altra. Sa, sono tutti fuori, trasporti, urgenze, alcune a sanificare, non sappiamo come dividerci…”. Alla fine devo essere io a tranquillizzarlo. Finalmente arriva una ambulanza non medicalizzata. Grazie di cuore a tutti gli addetti del 118, sempre sulla breccia, sempre pronti, sempre professionali. Mi accudiscono come un bimbo e mi portano al pronto soccorso dove passo il pomeriggio facendo tutti gli esami necessari. Polmonite monolaterale lobare. Chiedo di tornare a casa e cominciano i problemi per avere l’ossigeno.

Le zone d'ombra

Ancora una volta – altra amarissima considerazione – vittima sacrificale è il medico di Medicina generale: deve fare il “piano terapeutico” una volta onere degli specialisti dell’Asp e ora carico, oltre al resto anche questo, per i medici di Medicina generale. Ma l’Asp, agli specialisti, cosa fa fare visto che sono state ridotte anche le visite specialistiche? Altre buone mani sottratte all’emergenza e a scapito della Medicina generale. E i rappresentanti dei medici tacciono. Anzi no: qualcuno sparge, anche a mezzo stampa, veleno contro la Medicina generale fomentando acredine contro queste vittime sacrificali. E ancora non avevo visto tutto quello che c’era da vedere».
E non è solo lui a non aver visto quello che c’era, e che c’è, ancora da vedere. Sono tante le zone d’ombra, troppe le cose che non convincono, le falle che rischiano di mandare a picco un intero sistema. Che, poi, non è solo un sistema sanitario, ma riguarda la vita delle persone, di ciascuno di noi, chi più fortunato chi meno, chi può scrivere il diario della propria esperienza e chi, purtroppo, è lì, attaccato alla macchina dell’ossigeno oppure non ce l’ha fatta. Come gli oltre 90 morti di questo lugubre mese di gennaio, secondo anno dell’era Covid.

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