Sono otto, alcune molto pesanti, le richieste di condanne che ieri mattina ha formulato l’accusa nel giudizio con il rito abbreviato per uno stralcio dell’operazione “Nebrodi”, l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Messina scattata a gennaio 2020 che ha acceso i riflettori su un sistema di truffe all’Agea su cui ruotavano gli interessi dei clan mafiosi tortoriciani. A sostenere l’accusa ieri in aula sono il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e i sostituti della Dda Fabrizio Monaco e Antonio Carchietti, che hanno chiesto al gup Simona Finocchiaro condanne che vanno da 20 anni a 2 anni. In particolare per Giuseppe Bontempo “batoia” (classe 1964) chiesti 12 anni, per il capo clan Sebastiano Bontempo “u uappo” (classe 1969) 20 anni, per Samuele Conti Mica 6 anni e 60 mila euro di multa, per Giorgio Marchese 5 anni e 2 mesi. Per il notaio di Canicattì Antonino Pecoraro l’accusa ha richiesto invece la condanna a 6 anni e 8 mesi di reclusione. Chiesti inoltre - tenendo conto del regime premiale per i pentiti -, 2 anni (“in continuazione” con altre condanne) per Carmelo Barbagiovanni “muzzuni”, e poi un anno e 9 mesi ciascuno per Giuseppe Marino Gammazza “scarabocchio” e Salvatore Costanzo Zammataro “patatara”, tutti e tre collaboratori di giustizia. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Messina