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Spinsero un uomo al suicidio, condannata coppia di Santo Stefano di Camastra

La coppia è stata condannata per istigazione al suicidio dal gup del tribunale di Patti, Eugenio Aliquò

Si uccise lo scorso febbraio sotto la spinta di pressioni psicologiche e continue estorsioni di denaro. Ora la coppia che aveva preso di mira un uomo di Santo Stefano di Camastra (Messina) è stata condannata per istigazione al suicidio dal gup del tribunale di Patti, Eugenio Aliquò.

Il processo si è svolto con rito abbreviato. Gabriel Acanticai di origine romena è stato condannato a 7 anni, la moglie Grazia Maria Di Marco a 8 anni. Nella vicenda sono coinvolti altri due parenti di Acanticai, Dimitru e Cosmin Petru, che hanno scelto il rito ordinario e saranno quindi giudicati a parte.

In meno di un anno il gruppo aveva spillato oltre 120 mila euro all’uomo che per procurarsi la somma si era indebitato e aveva venduto perfino i propri beni. La coppia aveva fatto leva sulla fragilità psichica della vittima a cui aveva fatto credere che una donna con la quale aveva avuto un legame sentimentale era segregata. Il suo "carceriere" pretendeva molto denaro per non farle male. Le continue richieste lo avevano portato alla disperazione. Quando l’uomo non è stato più in grado di versare altri soldi nel febbraio dell’anno scorso si è impiccato in un casolare.

La storia

La vittima ed i suoi familiari, un tempo benestanti, da circa un anno erano sopraffatti dai debiti, tanto da esser costretti a svendere diversi immobili, riducendosi in povertà assoluta. La coppia, approfittando della vulnerabilità dell’uomo e ben conoscendo la sua dipendenza sentimentale da una loro familiare – sorella di Acanticai - gli facevano credere che la donna amata fosse stata rapita, si trovasse segregata e fosse sfruttata da un uomo che pretendeva continui pagamenti per non farle del male. Nella prospettiva di riscattare la libertà della donna dalla prospettata condizione di schiavitù, l’uomo si trovava a versare in poco in poco meno di un anno oltre 150 mila euro. Il denaro veniva consegnato dalla vittima direttamente agli amici tramite ricariche di diverse carte Postepay o in contanti, nella convinzione che servisse ad aiutare la sua amata, ignara del proposito criminale dei familiari.

La situazione inscenata e le pressanti richieste degli indagati inducevano la vittima a ricercare spasmodicamente denaro, chiedendolo in prestito, svendendo beni di famiglia ed arrivando ad appropriarsi persino di parte della pensione percepita dalla madre. Enorme era la pressione psicologica e morale esercitata dalla coppia che era persino arrivata ad indurre la vittima, ormai sul lastrico, a commettere ogni genere di crimine, dal furto alla truffa, facendogli pensare persino alla rapina e all’omicidio. Emerge come la vittima, alla fine, abbia cercato di resistere alle pressanti richieste di denaro della Di Marco, la quale non esitava a ricattarlo e minacciarlo di gravi conseguenze, anche di fronte alla prospettiva di essere denunciata alla magistratura. Stretto dalle continue ed insistenti richieste di denaro e gravato dal peso di aver rovinato inutilmente sé stesso e la sua famiglia, alla fine il quarantanovenne, ormai esasperato ed avvilito, si tolse la vita impiccandosi.

 

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