«Vi racconto gli ultimi 38 giorni di un uomo». Ed è un racconto straziante, quello di Grazia Giuffrida. Poco più di mese. Tanto c’ha messo il Covid a portarsi via il papà Renato, 73 anni. «Un uomo ligio alle regole, per niente superficiale». Ma tutto questo non lo ha risparmiato. Un incubo che inizia il 30 ottobre, qualche linea di febbre, tachipirina. Ma il giorno dopo la febbre non va via. «Contattiamo il medico di base, che però non può visitarlo per legge. Gli prescrive antipiretico e bustine per la tosse». Il 2 novembre la febbre ancora lì, si passa all’antibiotico, ma niente da fare. Dopo due giorni si prova col cortisone «e sotto insistenza finalmente il medico attiva il protocollo per il tampone». Il tampone viene effettuato dall’Usca il 6 novembre: «Tra qualche giorno vi arriverà l’esito, ci dicono. Ad oggi mai arrivato». Petto e spalle sono ok. La saturazione? «Il saturimetro non funziona».
I problemi
I giorni passano, il 9 novembre Renato ha ancora la febbre ed ha difficoltà a respirare. Viene chiamato il 118, che consiglia di comprare una bombola di ossigeno e un saturimetro. Tampone rapido: negativo. Ma è un sospiro di sollievo illusorio. La saturazione è a 84, Renato viene portato al pronto soccorso del Papardo e qui, dopo 70 minuti di attesa, il tampone molecolare stavolta dà esito positivo. Il verdetto peggiore arriva dalla radiografia: polmonite interstiziale bilaterale. «Ci tranquillizzano – racconta Grazia –, ha 73 anni ma non ha altre patologie, ci sono ottime possibilità che la situazione non peggiori». E invece «inizia il calvario vero e proprio». Renato viene ricoverato, «si può chiamare solo una volta al giorno, senza orario prestabilito. Ci imbattiamo in personale sanitario maleducato, telefoni staccati in faccia e non solo». Il 10 novembre inizia la terapia: antibiotico, cortisone ed ossigeno con mascherina. Ma nessun miglioramento. «Chiediamo: ma la terapia del plasma? Risposta: il primario non ci ha autorizzati a metterla in atto. Nonostante su fb ci sia tanto di post con cui chiedono di donare il sangue».
L'aggravamento
Il 16 novembre si passa al casco cipap: «Agonia pura». Il 20 novembre saturazione e pressione precipitano, Renato deve essere trasferito in rianimazione va intubato. «Non può essere, non sta accadendo davvero». Invece è tutto, drammaticamente vero. Iniziano nuove terapie, ma Renato peggiora. «Ci dicono: purtroppo questo virus non guarda in faccia nessuno». Anche il cuore inizia ad accusare il colpo. «Ad ogni chiamata non c’è mai una buona notizia, è gravemente stabile, sta lottando tanto, non perdete le speranze». Fino alle 16.47 del 6 dicembre. «Squilla il telefono. Arresto cardiaco. Non c’è più! È tutto finito, così, in 38 giorni dal nulla! Si è spento in una stanza di ospedale, senza nessuno che gli volesse bene a stringergli la mano. Non l’abbiamo più visto. Forse sarebbe potuto andare diversamente... non lo sapremo mai! Ecco cos’è il Covid».