Quando dal fango rappreso sotto il vecchio ponte dell’Annunziata s’intravide il corpo dilaniato e scomposto di Angela Carità, l’unico grido fu quello dei vigili del fuoco che da ore scavavano senza sosta sotto la luce bianca artificiale delle fotoelettriche. Angela era come tutta rannicchiata, forse nell’ultimo disperato tentativo di vivere. Fu un colpo al cuore. Tutta la gente ch’era accorsa per vivere quella tragedia, erano in centinaia, e s’affacciava dalla ringhiera su quella fossa di torrente, s’ammutolì di colpo. E il ronzio delle pale meccaniche che grattavano l’impasto mortale di detriti e sabbia solidificata intorno a quel corpo martoriato, o il cigolìo dell’autoscala che saliva e scendeva incessantemente, furono per molti minuti come l’ultimo rosario cantato di quella povera ragazza schiacciata dall’alluvione improvviso, che aveva investito Messina poche ore prima. Era di sera, era il 27 settembre del 1998 quando si scatenò la bomba d’acqua che portò l’inferno nella zona nord della città. E dalle nostre parti quando succede si contano tristemente i morti, com’è accaduto a Giampilieri, a Scaletta, qualche tempo dopo. Oggi, sembra assurdo, a ben ventidue anni da quella tragedia che spazzò via una famiglia, perché Angela quella sera stava tornando in auto a casa, in contrada Conte, con i suoi genitori, Antonio e Maria, c’è ancora qualcosa da chiudere sul piano giudiziario. Dopo il processo penale, la causa civile intentata nel 2013 dal fratello Giovanni e dalla sorella Giovanna per ottenere il risarcimento da chi fu condannato in sede penale, tra funzionari ed enti pubblici, è ancora appesa in tribunale tra lungaggini e rinvii. E c’è anche un data d’ulteriore slittamento che di recente ha registrato il procedimento, perché se ne riparlerà addirittura il 10 febbraio del... 2022. Non solo. L’istanza di anticipazione formulata dal legale della famiglia Carità, l’avvocato Aurora Notarianni, è stata pure rigettata. «Il ritardo in questo caso è denegata giustizia - dice l’avvocato Notarianni -, e devo osservare che l’emergenza covid grazie alla trattazione scritta dei processi, in particolare quelli pronti per la decisione, ha comportato per i magistrati una maggiore produttività e non già un rallentamento, come dedotto da nostro giudice. Sul piano generale va anche considerato che, dalla Relazione sullo stato di diritto redatta dalla Commissione UE, l’Italia è sorvegliata speciale anche per la lentezza del processo che incide pesantemente sulla qualità del servizio giustizia. I ritardi nel settore giustizia hanno un costo stimato di 2.5 punti del Pil, con 40 miliardi in fumo e 130 mila posti di lavoro persi. E mentre in Europa - prosegue il legale -, il processo civile dura 233 giorni e in Italia una media di 527, a Messina può durare, anche, oltre 2000 giorni». Nell’atto con cui l’avvocato Notarianni chiedeva l’anticipazione dell’udienza, aveva ricostruito un po’ tutto della causa in corso: «Il procedimento, iscritto al ruolo nell’anno 2013, segue all’accertamento della responsabilità penale degli imputati e dei responsabili civili, giusta sentenza irrevocabile di condanna emessa dalla Suprema Corte n. 17069/2012; la causa si protrae già da sette anni, senza alcuna sostanziale attività se non per sole due udienze istruttorie volte all’accertamento dell’effettività del vincolo e del conseguente danno relazionale; dopo continui rinvii che hanno visto avvicendarsi tanti giudici differenti, la causa, precisate le conclusioni all’udienza di oggi (si tratta di un paio di giorni addietro, n.d.r.), avrebbe dovuto essere posta in decisione a più di ventidue anni di distanza dal fatto». Ma è andata diversamente, perché «... il Got, in sostituzione del giudice assegnatario del ruolo, ha disposto il rinvio ex art. 281 sexies c.p.c. all’udienza del 10.2.2022, ossia di ulteriori 14 mesi». «Ad oggi - aveva poi scritto l’avvocato Notarianni -, nell’assoluta indifferenza delle istituzioni preposte e costituite in giudizio (Comune e Assessorato) e dei convenuti, gli attori aspettano il riconoscimento del proprio diritto costretti, ad ogni udienza, a rivivere il dramma che li ha colpiti rendendo sempre più vivido nella loro memoria il dolore di quei terribili avvenimenti». Ed è «evidente, dunque, come il tempo trascorso e la durata del processo, che ha già superato di 4 anni il limite previsto dalla legge Pinto, abbia già determinato la lesione dei diritto protetti dalla Convenzione Edu, e segnatamente degli articoli 6 e 8».