Messina

Lunedì 29 Aprile 2024

Il processo “SoFiMe”, decise tre assoluzioni: scagionati Termini e Vigorita

Il tribunale di Messina

Si è concluso ieri pomeriggio con l’assoluzione di tutti e tre gli imputati il processo “SoFiMe”, che vedeva coinvolti l’ex presidente dell’Amam e commercialista Leonardo Termini, l’ex direttore generale della Banca di Credito Cooperativo “Antonello” Fabrizio Vigorita e il commercialista Giuseppe Damiani. I tre professionisti sono stati assolti con la formula «perché il fatto non costituisce reato», mentre l’accusa aveva chiesto la condanna di Termini e Damiani e l’assoluzione di Vigorita. Ad invocare l’assoluzione piena anche i loro difensori, gli avvocati Fabio Repici, Giovanni Calamoneri e Giuseppe Ignazzitto. L’accusa, a suo tempo cristallizzata dopo un’indagine della Guardia di Finanza gestita dal sostituto procuratore Diego Capece Minutolo, era di truffa ai danni dell’amministratore pro tempore della società d’intermediazione finanziaria “SoFiMe”, Calogero Bringheli, costituito parte civile nel processo con la moglie, Natalina Montali, e rappresentato dagli avvocati Lori Olivo e Giovanni Mannuccia. La vicenda della società d’intermediazione finanziaria “SoFiMe”, risale all’autunno del 2011 e riguarda l’acquisto di una società finanziaria sotto fallimento. I tre imputati, secondo l’impostazione accusatoria originaria della Procura - ieri “caduta” -, avrebbero messo in atto una serie di artifici e raggiri per poter rilevare la società. All’allora amministratore delegato Bringheli i tre, ovvero Termini, Vigorita e Damiani, avrebbero in concreto promesso una serie di vantaggi, tra cui l’assunzione con la qualifica di direttore commerciale in una società controllata e provvigioni dell’1% su tutte le pratiche aperte e anche sui nuovi prodotti finanziari distribuiti dalla Banca Antonello da Messina, l’istituto di credito verso il quale la parte offesa risultava essere in debito. E Bringheli sarebbe stato costretto non solo ad accollarsi i debiti pregressi e a vendere la società, ma anche a dare in garanzia per un debito di oltre 250 mila euro il proprio patrimonio immobiliare. Ma evidentemente il dibattimento davanti al giudice monocratico Massimiliano Micali nel suo evolversi ha prospettato una realtà differente rispetto all’accusa originaria, che ha portato all’assoluzione dei tre professionisti.

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