Messina

Venerdì 22 Novembre 2024

Lo spaccio di droga in mano al clan Mangialupi di Messina: tre condanne

Il tribunale di Messina

La Prima sezione penale del Tribunale, nell’ambito del processo scaturito dall’operazione antidroga “Tunnel” ha dichiarato Francesco Maggio colpevole e gli ha inflitto una pena di 14 anni e 6 mesi di reclusione. A Salvatore Micari, invece, 10 anni e mezzo, a Cristian Restuccia 11 anni. Inoltre, i tre dichiarati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici e revocata altresì la sospensione condizionale della pena concessa a Maggio con la sentenza della Corte d’appello di Messina del 18 febbraio 2016, divenuta irrevocabile il 2 aprile dello stesso anno. Al termine della requisitoria, il sostituto della Direzione distrettuale antimafia Fabrizio Monaco aveva chiesto 18 anni di reclusione per Maggio, 14 per Restuccia e 12 anni e 8 mesi per Micari. Gli imputati di questa tranche del procedimento penale, che vede alla sbarra quanti hanno optato per il rito ordinario, sono assistiti dagli avvocati Alessandro Billè, Salvatore Silvestro e Giuseppe Carrabba. L’operazione prese il nome dal rinvenimento e dal successivo sequestro da parte della Squadra mobile della Questura di Messina di un carico di droga - 42 kg - custodito all’interno del tunnel ferroviario dismesso “Spadalara”, a Bisconte, nel 2017. Poi furono portati alla luce altri due involucri di marijuana, di circa 22 e 10 chili, trasportati in auto da corrieri. L’inchiesta fu coordinata dai sostituti della Dda Maria Pellegrino, Liliana Todaro e Fabrizio Monaco. L’avvio alle indagini fu a maggio 2017, a seguito di un’intercettazione in carcere, per poi concludersi a febbraio 2018. Gli arresti si concretizzarono a luglio 2019. Nel corso dell’operazione “Tunnel” fu disposto anche il sequestro in via preventiva, finalizzato alla confisca, dei beni mobili, immobili e delle utilità economiche riconducibili all’Asd “Pool Planet”. Un’associazione sportiva dilettantistica localizzata nel rione di Gazzi, la cui titolarità sarebbe stata attribuita fittiziamente a terzi da Santino Di Pietro, per questo motivo indagato anche per trasferimento fraudolento di valori. In sostanza, disarticolata una banda di spacciatori italo-albanesi, che aveva il suo quartier generale a Mangialupi.

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