Tutti assolti. Al termine di un processo che, come tra le pieghe delle arringhe hanno raccontato un po’ tutti i difensori, “in realtà non si sarebbe nemmeno dovuto aprire”.
È finita quindi con un assoluzione “generale”, decisa dal giudice monocratico della prima sezione penale Maria Pina Scolaro, la formula è «perché il fatto non sussiste», al procedimento sui lavori al porto, ai moli Vespri e Colapesce. Un’inchiesta che ha ipotizzato all’inizio la truffa e la frode in pubbliche forniture per il presunto uso di calcestruzzo “impoverito” (qualificato C6 invece che C8), aperta nel 2015 dopo un esposto anonimo.
Ma che s’è progressivamente e clamorosamente e sgonfiata, per esempio con il passaggio decisivo al Riesame, oppure con le perizie commissionate della stessa accusa. Fino alla sentenza di ieri, che ha scagionato tutti. E dire che quando scoppiò il caso vennero decise anche misure cautelari. Erano in tutto undici gli imputati, dieci persone fisiche più la stessa ditta che eseguì i lavori.
Erano coinvolti l’intero management dell’epoca della Tecnis Spa, ovvero Danilo La Piana, Daniele Naty, Domenico Costanzo e Concetto Lo Giudice Bosco; Antonio Giannetto e Vincenzo Silvestro, titolari delle società fornitrici di calcestruzzo, la Presente Calcestruzzi e la S.V. Costruzioni; Francesco Bosurgi, ispettore di cantiere all’Ufficio opere marittime di Messina; Antonella Fangano, rappresentante della Geodrilling s.r.l., la società incaricata della realizzazione dei pali di fondazione delle banchine dopo il sub-appalto della Tecnis; Rosario D’Andrea, presidente della commissione di collaudo e collaudatore statico dell’opera; Fabio Arena, funzionario dell’Ufficio tecnico e opere marittime per la Sicilia e direttore dei lavori della palificazione.
Il giudice Scolaro, nonostante fossero state richieste una serie di condanne da parte della Procura, ha deciso l’assoluzione ex art. 530 c.p.c. commi 1° e 2°, anche per la Tecnis Spa per l’illecito amministrativo, disponendo poi il dissequestro di quanto a suo tempo era stato “sigillato”, e la restituzione ai legittimi proprietari.
Le accuse iniziali contestate dalla Procura a tutti e nove gli indagati, ovviamente legate ai rispettivi ruoli effettivi di realizzazione e di controllo, erano due: truffa e frode in pubbliche forniture. La truffa perché sarebbe stato adoperato un calcestruzzo con coefficiente di resistenza cubica appartenente a classi varianti tra la 4 e la 7 con valori di resistenza tra 20 e 40, inferiore rispetto a quello previsto nel progetto, che era pari alla classe 8 con resistenza tra 35 e 45. Ma in realtà quello che ipotizzava l’esposto anonimo da cui partì tutto non era vero, ha dimostrato il processo.
La creazione della maxi banchina da dedicare alle navi da crociera con i i lavori di allineamento dei moli Vespri e Colapesce, è stato uno dei più grossi appalto aggiudicato dall’Autorità portuale di Messina. Ha avuto un iter molto travagliato ed è stato al centro di un lungo contenzioso legale, come praticamente succede quasi sempre in tema di lavori pubblici, tra l’Associazione temporanea di imprese facente capo alla Tecnis Spa di Catania, aggiudicataria del bando da 15 milioni e mezzo di euro e firmataria del contratto, e l’impresa seconda classificata, la Trevi di Cesena.
Il collegio di difesa in questo processo è stato composto dagli avvocati Giuseppe Romeo, Luigi Latino, Carmelo Peluso, Alberto Gullino, Antonio Strangi, Attilio Foresta, Carlo Autru Ryolo, Nino Dalmazio, Salvatore Seminato, Corrado Rizzo e Nicola Giacobbe. Ecco uno dei passaggi difensivi che ricalca la linea generale delle arringhe: «L’istruttoria dibattimentale ha confermato quanto già era emerso chiaramente nel corso delle indagini e in fase cautelare, ovvero che tale processo non avrebbe dovuto avere mai luogo, in quanto la denuncia anonima da cui è scaturito “restava in piedi” unicamente per ciò che concerne le caratteristiche del calcestruzzo e con tutte le incertezze e i limiti delle ctu susseguitesi, rivelandosi del tutto infondata per il resto».
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