Era «... un vero e proprio “sistema” basato sulla ricerca del consenso elettorale che nulla ha a che vedere con la condivisione di un progetto politico fondato su una gestione del voto come merce di scambio a fronte di favori, denaro, derrate alimentari, disbrigo di pratiche amministrative, promesse di posti di lavoro». Nelle oltre quattrocento pagine delle motivazioni della sentenza “Matassa”, la clamorosa inchiesta su mafia e politica a Messina, c'è uno spaccato emblematico della città. Adesso che sono depositate le motivazioni, ecco spiegate le 39 condanne dell'ottobre scorso, a politici ed esponenti dei clan mafiosi, basta citare Francantonio Genovese e Franco Rinaldi da un lato, e il boss di Camaro Carmelo Ventura dall'altro.
Si tratta del maxiprocesso e dell'indagine “Matassa” gestiti dalla Distrettuale antimafia e dalla Mobile di Messina, ovvero le commistioni tra mafia, politica e criminalità organizzata in città con al centro tre campagne elettorali tra il 2012 e il 2013, smantellate da una lunga indagine della polizia nel 2016. Ma che ha rappresentato anche la ricostruzione della nuova geografia dei clan cittadini, con particolare attenzione ai gruppi criminali di Camaro e S. Lucia sopra Contesse.
Le motivazioni le hanno scritte a quattro mani l'allora presidente della seconda sezione penale Mario Samperi, e la collega Valeria Curatolo, che componeva il collegio. Leggendole c'è un dato che balza subito all'occhio: c'era la mafia, c'era la politica, poi c'era il “mondo di mezzo”, ovvero quegli esponenti della zona grigia che avevano contatti da una parte e dall'altra, come vasi comunicanti invischiati negli affari illeciti per eleggere i “prescelti” e far lavorare gli “amici”.
Ecco come i giudici descrivono la “macchina elettorale” di Genovese quando parlano del reato associativo: «... nel caso di specie può senz'altro affermarsi che il sodalizio avesse la disponibilità di strumenti idonei e adeguati al raggiungimento dei suoi fini: fruiva infatti delle risorse economiche necessarie per provvedere all'acquisto di derrate alimentari e di persone preposte al loro prelievo dai supermercati, alla custodia, alla individuazione dei beneficiari e alla successiva consegna; di locali ove riporre la merce destinata alla distribuzione (l'abitazione di Pernicone Angelo, il patronato di Borgia Salvatore); di mezzi adatti al trasporto delle derrate (furgoni, veicoli, il cestello nella disponibilità dei Pernicone); oltre che - naturalmente - di una fitta rete di relazioni e conoscenze attraverso cui assicurare svariate utilità promesse quale contropartita di voti».
Secondo i giudici è stata dimostrata dal processo «... una ininterrotta attività dell'associazione tra l'autunno del 2012 e l'estate del 2013, finalizzata ad alimentare un sistema clientelare a fini elettorali, connotato da una tendenziale stabilità».
E dentro questo calderone politico-elettorale «... David Paolo, all'epoca dei fatti consigliere comunale del Pd, rivestiva una posizione apicale, svolgendo un fondamentale e decisivo ruolo di organizzatore dell'attività illecita, agendo sia nell'interesse proprio che dei suoi referenti politici di più alto livello, Genovese Francantonio e Rinaldi Francesco». Era il «collettore dei voti in cambio di denaro, generi alimentari o altre utilità, quali colloqui di lavoro e assunzioni, favori e segnalazioni nel disbrigo di pratiche burocratiche, potendosi avvalere di una serie di personaggi in grado, di volta in volta, sia di procurare un cospicuo numero di voti, grazie alle attività professionali e alle conoscenze di ciascuno di essi, che di garantire una contropartita immediata e diretta alle promesse di voti così ottenuti».
E poi secondo i giudici «... al vertice di tale sistema - oltre al David -, si collocavano chiaramente anche gli altri soggetti nel cui diretto interesse veniva esercitata l'attività di corruzione elettorale e, precisamente, gli esponenti politici nazionali e regionali di riferimento: Genovese Francantonio e Rinaldi Francesco. L'episodio relativo all'accreditamento del Consorzio Sociale Siciliano quale ditta fiduciaria del Cas ha evidenziato il diretto interessamento del Genovese per gli affari di Pernicone Angelo, arrivando persino ad intercedere con il commissario straordinario del Cas per perorare le sue richieste. Dal medesimo episodio - scrivono i giudici -, si evince inoltre la piena condivisione di scopi e interessi tra David Paolo e il Genovese, tant'è che quest'ultimo lasciava intendere ai suoi interlocutori privilegiati (nella specie l'avv. Gazzara) che parlare con il David equivaleva a parlare direttamente con lui».
Ma c'era anche qualche altro politico che usava lo stesso metodo: «quello di ottenere il consenso elettorale attraverso la distribuzione di generi alimentari - scrivono i giudici -, non era prerogativa del solo David e dei suoi referenti politici Genovese e Rinaldi: anche Capurro Giuseppe, consigliere uscente del Pdl, improntava la propria campagna elettorale all'insegna della distribuzione di derrate alimentari per ottenere il sostegno della sua candidatura in occasione delle elezioni amministrative del giugno 2013 per il rinnovo, tra l'altro, del consiglio comunale, coadiuvato in tale opera da Lombardo Antonino... titolare di un chiosco per la rivendita del pesce al mercato Sant'Orsola».
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