Finti maghi, riti e talismani contro il malocchio: retata della polizia a S. Stefano di Camastra
Finti maghi a Santo Stefano di Camastra ma con "affari" su tutto il territorio messinese. Una operazione della polizia di Patti e Capo d'Orlando che ha portato questa mattina a sette arresti (4 in carcere e altre 3 ai domiciliari) mentre una ottava persona indagata è ancora ricercata. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione per delinquere, truffa aggravata, violenza privata e tentata estorsione. In carcere sono finiti Elvira Parisi, Gino Paterniti, Doina Negru Rodica e Lidia Messina. Agli arresti domiciliari: Teresa Prinzi, Rosario Lombardo Facciale. Nei confronti di un ottavo indagato, allo stato non reperito, la misura è in corso di esecuzione. Il provvedimento cautelare è stato emesso dal GIP del Tribunale di Patti, Eugenio Aliquò, su richiesta dei Sostituti Procuratori Alessandro Lia e Federica Urban. Le indagini, iniziate due anni fa ha svelato l’esistenza di una banda con base operativa a Santo Stefano di Camastra, ma attiva sull’intera provincia di Messina, capeggiato da Elvira Parisi e Gino Paterniti. Secondo gli investigatori, spacciandosi per maghi e cartomanti, dotati di poteri occulti ed esoterici, agganciavano le ignare vittime, le convincevano dei loro poteri “magici” e le inducevano a versare forti somme di denaro in cambio delle loro presunte prestazioni professionali. Le indagini venivano avviate a seguito della denuncia presentata da una donna, che riferiva di aver versato centinaia di migliaia di euro. Dalle intercettazioni, avviate nell’estate del 2017 sulle utenze dei principali indagati, è emerso il “modus operandi” del sodalizio: gli indagati avvicinavano le vittime, sfruttando momenti di fragilità e solitudine, ne carpivano la fiducia attraverso lunghe telefonate ad ogni ora del giorno e della notte, nel corso delle quali, fingendo solidarietà e comprensione, si arrogavano poteri sensitivi straordinari (potere di percepire il pericolo incombente nella vita degli altri o di purificazione da fenomeni paranormali negativi), grazie ai quali paventavano l’esistenza di pericoli, negatività mortali, gravanti sull’intero nucleo familiare (per es., riti malefici posti in essere da terzi con teli appesi al balcone), i quali potevano essere scongiurati soltanto attraverso il ricorso alla cartomanzia, a riti esoterici, magici, “preghiere”. In cambio di tali prestazioni, si facevano consegnare cifre esorbitanti in denaro, in contanti o su carte prepagate. I rituali (chiamati “lavori”, “grafiche”, “invocazioni”) venivano sempre prospettati come molto costosi, perché bisognevoli di materiali speciali e talismani (“Il materiale esoterico costa!!”), nonchè come condizione imprescindibile per la rimozione del grave male, del “malocchio” o della “fattura” (“lui è stato anche fatturato!!” - “io sono sensitiva…” - “la situazione è brutta… c'è stato una donna.. mi raffigura una donna che ha fatto qualche cosa su di lui e non c'è niente da fare, si deve togliere subito… l'impurità!” - “Non c'è tanto da perdere tempo, perchè ogni cosa peggiora..!!”; “purificazione nella tua casa!!! - “... sei di religione ortodossa no..?.. Esatto... e allora ti voglio dire una cosa, principalmente io sono con Dio… ok..? Perchè.. .appunto ci sono quelli che sono… insomma… di altre sponde, di altre cose... io faccio solo preghiere carismatiche… così lavoro... tolgo la negatività… tolgo il male.. hai capito?”). I riti, a volte, servivano anche a mettere a tacere definitivamente “voci e dicerie di paese” pericolose per la reputazione della vittima (per. es. relazioni extraconiugali) e comprendevano anche la consegna di talismani (collanine, portachiavi, braccialetti, pietre vulcaniche) che dovevano essere utilizzati secondo precise istruzioni: così, ad esempio, un braccialetto doveva essere indossato per ventiquattro ore consecutive, compresa la notte, e l’indomani doveva essere gettato in mare. Gli indagati, al minimo sospetto che le vittime, scoperti i loro inganni, cercassero di uscire dal circolo vizioso in cui erano incorse, passavano a intimidazioni nei loro confronti. In particolare, le minacciavano che, se avessero smesso di pagare o avessero denunciato i fatti, avrebbero scagliato al loro indirizzo, e a quello delle loro famiglie, ogni sorta di maleficio e negatività. In alcuni casi gli odierni indagati hanno ricattato le loro vittime, minacciandole che avrebbero divulgato tutte le informazioni “compromettenti” di cui erano venute in possesso, carpite in occasione dello svolgimento delle loro “prestazioni professionali” (uno degli indagati, per es., ha minacciato la vittima di divulgare il contenuto non meglio precisate “cassette” o anche di riferire agli assistenti sociali ed al datore di lavoro della sua “cliente - vittima” le informazioni confidenziali ricevute). Per incrementare il senso di smarrimento delle vittime ed eludere eventuali indagini, gli indagati inscenavano l’esistenza di fantomatici soggetti dai poteri ancora più straordinari dei quali addirittura simulavano la voce al telefono. Parisi e Paterniti, detto “il conte”, sarebbero stati gli organizzatori dei raggiri. Doina Negru Rodica svolgeva un ruolo di collegamento tra i due “capi”, forniva assistenza nell’attività esoterica, interpretava il ruolo della fantomatica “Alessia” (donna dall’accento straniero) per la circonvenzione delle vittime, metteva a disposizione la propria carta Postepay per riceverne i pagamenti. Lidia Messina, molto vicina a Elvira Parisi, le forniva costante assistenza, dandole suggerimenti e consigli, individuando, procacciando e gestendo numerose vittime, interpretando in alcuni casi il ruolo della fantomatica “Ester”. Teresa Prinzi, detta “Titti”, nipote di Parisi, forniva assistenza alla zia nella circonvenzione di diverse vittime. Rosario Lombardo Facciale, detto “Carlo”, prima assumeva il ruolo di vittima e, successivamente, di consociato, in quanto divenuto stretto collaboratore di PARISI Elvira, fornendole consulenza ed assistenza, procacciandole nuovi clienti, interpretando anche il ruolo di intermediario tra la stessa PARISI Elvira ed alcune delle vittime. Gaetani Capra, dapprima anch’egli “vittima”, è poi divenuto il compagno di Elvira Parisi e le ha fornito assistenza nella circonvenzione di altri soggetti, occupandosi di ritirare il denaro contante; anche egli era intestatario di una delle carte prepagate su cui avvenivano le ricariche. Le vittime, per procurarsi la liquidità necessaria a soddisfare le incessanti richieste degli indagati, non solo attingevano a tutti i loro risparmi, vendendo gioielli, attrezzature di lavoro (in un caso, addirittura, un intero allevamento di bestiame) e persino immobili di proprietà (le stesse case di abitazione), ma erano costrette anche a contrarre gravosi debiti con amici e parenti (ai quali tacevano il reale motivo del prestito), fino a contrarre debiti a tassi usurari che non riuscivano poi ad onorare. Per ogni consulenza/rito, i malcapitati clienti versavano una “parcella” di qualche centinaio di euro, fino ad arrivare a corrispondere, nel corso del tempo, in totale, cifre anche superiori ai 10.000 euro. Nei casi più gravi, due vittime hanno consegnato, rispettivamente, oltre un milione di euro e 70.000 euro. In alcune conversazione erano gli stessi indagati a suggerire alle vittime come procurarsi ancora ulteriore denaro, per esempio chiedendo prestiti ai familiari o vendendo gioielli al compro-oro.