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Messina, De Lucia: "Boss mafiosi tornano a casa? Il sistema carceri non funziona"

Maurizio De Lucia

I boss mafiosi e i gregari “esattori” tornano a puntate a casa per l'emergenza coronavirus di questi tempi. E nella loro terra, anche se agli arresti domiciliari, già la presenza è sinonimo di rinnovo del “comando”. Ci sono liste trasmesse dal Dap al ministro della Giustizia Bonafede, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, pseudoriservate e infinite, di scarcerazioni eccellenti nelle ultime settimane. Condite da polemiche feroci. Il dato reale però esiste. I boss mafiosi e i gregari sono tornati veramente a casa. Anche in provincia di Messina ci sono stati parecchi rientri negli ultimi tempi, e non soltanto per esigenze carcerarie legate alla pandemia in atto, ma anche per istanze presentate parecchi mesi addietro, poi diciamo così “accelerate” per l'emergenza. Di questi argomenti ne parliamo con il procuratore capo di Messina Maurizio De Lucia, anche per capire cosa è successo nella nostra provincia.

- Procuratore, quanti sono i boss o i mafiosi “semplici” scarcerati di recente per la pandemia che sono rientrati in provincia di Messina?
«Alcuni soggetti condannati per mafia sono effettivamente stati posti in detenzione domiciliare dai giudici di sorveglianza in relazione alla c.d. emergenza coronavirus».

- Il rientro nei territori d'appartenenza può creare nuova “dipendenza mafiosa”?
«Gli appartenenti alle organizzazioni mafiose, come è noto lasciano le stesse solo per effetto di una scelta collaborativa, è pertanto abbastanza evidente che nel loro continuare ad essere parte dell'organizzazione mafiosa cerchino di ricevere dalla stessa vantaggi e sono pronti comunque ad appoggiarla. Si tratta di considerazioni che vengono da trenta anni di processi alle mafie e che non sono certo mai state smentite».

- Ma questa lunga lista di “rientri” è un dato reale oppure si tratta di scarcerazioni “normali” fatte passare per “eccezionali”?
«Non è possibile distinguere le scarcerazioni in questo modo. Le scarcerazioni sono operate dalla magistratura di sorveglianza nel pieno rispetto della legge vigente, certo è poi possibile che un apporto informativo più completo sulla caratura dei condannati per mafia porti i giudici a diversa valutazione. In tal senso il decreto legge di recente intervenuto e che impone un dovere di informazione da parte della Procura nazionale e delle Direzioni distrettuali antimafia è certamente un intervento apprezzabile».

- In generale secondo lei la legislazione sul punto è corretta e rispondente alle reali esigenze del sistema carcerario o andrebbe modificata?
«Più che la legislazione di settore quello che non funziona è il sistema. I detenuti hanno il diritto di essere curati, ma l'amministrazione penitenziaria deve avere le risorse perché la cura avvenga all'interno delle strutture carcerarie. Le stesse strutture dovrebbero essere diversificate distinguendo i detenuti davvero pericolosi dagli altri, per i quali dovrebbero essere pensati nuovi percorsi di rieducazione e reinserimento sociale. La stessa pena nel XXI secolo dovrebbe essere ripensata in termini non di solo carcere, ma anche di comportamenti riparativi sia patrimoniali che sociali».

La lista di soggetti, indagati per mafia e non, che sono rientrati nel Messinese è parecchio lunga, anche se non tutte le scarcerazioni sono legate all'emergenza per il coronavirus. Di sicuro per valutazioni legate all'emergenza hanno chiesto attraverso i loro difensori, di recente, la scarcerazione, il barcellonese Antonino De Luca Cardillo, imputato nella maxi operazione “Gotha 7”, il messinese Benedetto Aspri del clan mafioso di Mangialupi, e il tortoriciano Sebastiano Bontempo Scavo. Nei prossimi giorni si saprà se è stata accordata. Ma in parecchi sono già “fuori”.

È tornato a casa per esempio Gino Bontempo inteso “don Vito Corleone”, che fu arrestato nell'operazione Montagna ed era tornato in carcere nel gennaio scorso per la maxi operazione Nebrodi sulla mafia dei pascoli e le truffe milionarie all'Unione Europea. È un personaggio di primo piano nell'organigramma mafioso dei Nebrodi, uno dei principali organizzatori delle truffe sui terreni, così come c'è scritto tra le carte dell'inchiesta. Si trovava ristretto a Siracusa, dove alcuni detenuti sono stati trovati positivi al Covid-19. Ed ha ottenuto la detenzione domiciliare. Un altro messinese, Stefano Marchese, è uscito dal carcere di Gazzi all'inizio di aprile, ma per lui la scarcerazione non ha nulla a che vedere con il Covid-19.

E sono invece ai domiciliari per l'emergenza Covid-19 (c'è scritto nei provvedimenti) anche Antonio Cambria Scimone, Fabrizio Garofalo, Massimiliano Munafò, Carmelo Mazzù, Vincenzo Gallo, Carmelo Vito Foti, Ottavio Imbesi, Francesco Doddo, Angelo Porcino e il catanese Salvatore Laudani.

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