C’è una percentuale che regala la drammatica evidenza, violenta come un pugno nello stomaco, della strage silenziosa avvenuta tra le mura della casa di riposo “Come d’incanto” di Messina: 41%. Sì, perché con la donna di 82 morta ieri all’ospedale di Barcellona, sono 26 le vittime della struttura per anziani di via Primo Settembre, il lazzaretto di questa emergenza coronavirus a Messina. Un numero pari al 41% degli anziani contagiati nel più angoscioso dei focolai cittadini. È sempre più un dovere capire cosa è successo, in quella casa di riposo. Cosa non ha funzionato. E come quella struttura si sia trasformata nel teatro di un’ecatombe. La cronologia degli eventi, che parte dall’inizio di marzo, ci aiuta a ricostruire il dramma. Il 5 marzo, quando l’emergenza inizia ad assumere dimensioni gravi al Nord, la direzione della casa di riposo stoppa le visite dei parenti. E qui c’è il primo “buco”: da quel giorno, un giovedì, effettivamente nessuno, che non fosse il personale, ha più messo piede dentro la casa di riposo? Il dubbio è legittimo, perché pare che invece alcune rarissime eccezioni siano state concesse, per i parenti di quegli ospiti in più precarie condizioni. Solo l’inchiesta, probabilmente, dirà se il virus ha varcato la soglia di via Primo Settembre prima o dopo il 5 marzo. E se il veicolo del Covid sia stato uno dei messinesi tornati nel week-end tra il 7 e l’8 marzo da una settimana bianca, come voci insistenti vogliono. Quel che si sa è che già il 9 marzo qualcuno ha iniziato ad avvertire i primi sintomi. Sia tra i pazienti che tra gli operatori, come dichiarato da una dipendente (rimasta anonima) della struttura alla Gazzetta l’8 aprile. Proseguendo con la cronologia degli eventi, diventa palese l’accavallarsi di imperdonabili ritardi. Giovedì 12 marzo dalla direzione della struttura parte una “Richiesta di intervento urgente” all’Asp. Ma nulla si muove. Si arriva a martedì 17 marzo quando, come dichiarato dalla direttrice della casa di riposo Donatella Martinez in un’intervista alla Gazzetta, «riesco a collegarmi con il numero 1500 e spiego tutto a una signora, la quale mi dice “la faccio chiamare dalla dottoressa”. Non mi chiama nessuno, e io il 18 mando mail e pec a tutte le istituzioni». Solo giovedì 19 marzo, una settimana dopo la richiesta “urgente” e (almeno) dieci giorni dopo l’apparire dei primi sintomi, vengono eseguiti tamponi su 23 dei 63 ospiti della casa di riposo. I test vengono portati al Papardo per la processazione, ma mancano i reagenti e non se ne conoscono gli esiti. Nella notte tra venerdì 20 e sabato 21 marzo viene ricoverata al Policlinico una delle ospiti, una donna di 90 anni, che risulterà poche ore dopo positiva al Covid-19. Solo a quel punto, sempre sabato 21 marzo, i tamponi vengono trasportati al Policlinico per la processazione e nella tarda serata arrivano i primi esiti: 14 positivi. Domenica 22 marzo i positivi salgono a 20, i ricoveri arrivano 4. Tra sabato e domenica l’Asp fornisce tute e dispositivi agli operatori, ma i familiari degli anziani rimangono all’oscuro di tutto: non si sa chi sia positivo e chi no, chi sia ricoverato e chi no. E il personale rimane bloccato dentro la struttura, in quarantena. Agli operatori i tamponi vengono effettuati solo lunedì 23, ma il giorno dopo arriva la prima vittima, che è anche la prima di tutta l’emergenza nel Messinese: una donna di 97 anni. In quel momento sono ancora solo 6 gli anziani ricoverati in ospedale, gli altri 13 positivi (quelli noti) sono ancora dentro la struttura. Arriva un disperato appello degli operatori: «Siamo alle prese con povera gente che non respira sui letti e ci sta morendo davanti agli occhi». Mercoledì 25 marzo viene finalmente istituito, su input dell’assessore regionale Razza, il “Covid Team”, che interviene all’interno della struttura. Tutti gli altri anziani vengono sottoposti a tampone e viene garantita l’assistenza sanitaria. Ma sono trascorse due quasi due settimane da quando era partita la prima richiesta d’aiuto. Due settimane che pesano come un macigno su soggetti deboli, bisognosi di cure quotidiane. Solo giovedì 26 marzo muoiono altri tre ospiti, la funebre conta inizia a crescere. La casa di riposo viene svuotata, il computo definitivo è di 63 anziani positivi, a cui si aggiungono 8 operatori su 16. Gli 8 ospiti negativi vengono trasferiti in una Rsa di via Palermo. Da allora le buone notizie sono poche: lunedì 6 aprile arriva la prima guarigione di una ospite, una donna 96 anni. Qualche giorno fa è toccata alla centenaria nonna Concetta. Ma nel frattempo, fino a giovedì 23 aprile, la casa di riposo non era ancora stata sanificata. E oggi, che il numero delle vittime è arrivato a 26, rimbombano le parole di Donatella Martinez: «Se ne potevano salvare tanti... se fossero intervenuti prima».