«Noi non curiamo la malattia, ma curiamo la persona. E se curiamo la persona, vinciamo sempre». Il dott. Antonio Giovanni Versace non lo nasconde: l’approccio in cui crede, oggi più che mai, è quello reso famoso da Patch Adams.
«La nostra missione non è solo prevenire la morte, ma rendere migliore la qualità della vita», ribadisce. E lo fa in una delle rare pause di un altro giorno vissuto in trincea. Nel cuore pulsante della battaglia contro il coronavirus, il cosiddetto “Covid Hospital”, come è stato ribattezzato il padiglione H del Policlinico. Lui, del Covid Hospital, è il coordinatore, la guida di un squadra, come ama definirla. Insieme ad altri due medici, Gaetano Calamori e Gisueppe Nunnari, «è stato creato un “crisis team” per darci la possibilità di lavorare in massima tranquillità, sia con i presidi che con le risorse umane sufficienti».
Il Covid Hospital è diviso in quattro dei sette piani del padiglione H: al primo sono ricoverati i pazienti che necessitano di alta intensità di cura, quindi i pazienti ventilati e di pneumologia; al secondo e al sesto ci sono i degenti per media e bassa intensità di cura; il terzo piano è riservato alle stanze Covid delle cosiddette “reti tempo-dipendenti”, Ima e Stroke. Ad esempio, se c’è un paziente con un infarto, positivo al coronavirus, è qui che viene ricoverato. Altre due stanze, poi, sono dotate di apparecchiature per la dialisi.
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