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"In venti contro uno", le aggressioni a Messina e lo sfogo di due mamme

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«Mio figlio ha rischiato di perdere un occhio, ma quello che gli fa e che mi fa più male è che quella sera in tanti, sia coetanei che adulti, hanno assistito alla scena senza neanche chiamare le forze dell'ordine, limitandosi a godersi lo spettacolo. Sono indignata anche perché si sono scagliati in venti contro uno e questa non può essere chiamata rissa, si chiama aggressione e non si tratta di casi isolati, basta spulciare le tante denunce presentate, comprese le nostre, e guardare la dinamica dei fatti»."

La grande rabbia delle mamme di due giovani coinvolti in uno dei diversi episodi di violenza che, ultimamente, si sono verificati il sabato sera in alcune zone centrali della città è tutta in queste parole. Chi opera, frequenta o vive in alcune zone, come ad esempio l'area di piazza Antonello e della Galleria Vittorio Emanuele di Messina, non ha alcuna difficoltà ad ammettere che accade quasi ogni sabato sera e che i responsabili di queste azioni sono vari gruppetti che provengono prevalentemente da alcuni quartieri, ben precisi, della città.

L'etichetta che si dà al fenomeno non può prescindere dalla serialità e dal “canovaccio” (ma non solo) dei fatti e c'è un altro particolare che fa riflettere, che non è detto si sia verificato una volta soltanto anche perché si tratta un “rituale” ormai diffuso a livello nazionale tra i giovani “branchi” e che fa ben intendere come il sabato sera ci si possa riunire con un obiettivo ben preciso: il possesso (facilmente giustificabile) di strumenti, come una stampella, che non destano sospetti, ma che possono essere pericolosamente utilizzati come un'arma.

«Mio figlio ha avuto una prognosi di 30 giorni, oltre a diverse lesioni e alla frattura del setto nasale, ha dovuto subire un'operazione chirurgica all'occhio. Quello che è accaduto a lui, domani può succedere a un altro figlio. Mi ha raccontato che per quanto avessero tentato di far finta di nulla ed evitare lo scontro non gli è stato permesso di tornare a casa, perché sono stati circondati e aggrediti da oltre una decina di persone tra cui anche adulti. Con l'esercito o con i presidi fissi siamo d'accordo che non si risolve il problema, chiediamo invece più agenti in borghese e non in divisa perché non danno nell'occhio e, nel caso in cui si verifichino episodi simili, possono intervenire subito e individuare immediatamente i responsabili che, nel nostro caso, dopo quasi un mese dai fatti, non sono stati ancora rintracciati e, anche per questo, i nostri figli sono molto sfiduciati».

Assieme a controlli più efficaci, in questi giorni, tra le diverse ipotesi d'azione per prevenire ed arginare il fenomeno, si è fatta strada anche l'idea della necessità di maggiori interventi socio-educativi in ambito familiare, perché molto spesso all'uso della violenza si abbina il volersi considerare alla stregua di un “mito”, mentre si vive in un vuoto cosmico fatto di disagi, cattivi modelli, talvolta noia, ma soprattutto totale assenza o rispetto per regole e valori.

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