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Mafia a Messina, la costa tirrenica dominata da sei famiglie

Il capo della procura di Messina, Maurizio De Lucia

I due versanti, il tirrenico e lo ionico, della provincia di Messina, e le presenze mafiose sul territorio. Ecco la seconda puntata incentrata sulla relazione depositata dal procuratore capo Maurizio De Lucia in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Ecco alcuni stralci salienti.

La fascia tirrenica

Nell’ambito dell’attività della Dda - scrive il procuratore De Lucia -, , una particolare attenzione è stata dedicata alle associazioni mafiose della cosiddetta “fascia tirrenica” (da Tortorici a Mistretta, da Barcellona Pozzo di Gotto a Mazzarrà Sant’Andrea, a Santalucia del Mela e via dicendo). Le indagini degli ultimi anni hanno rivelato un fenomeno la cui origine era comunque già risalente nel tempo. La mafia che possiamo chiamare “barcellonese” o “tirrenica” ha assunto una strutturazione e metodi operativi del tutto omologhi a quelli di cosa nostra palermitana, con la quale intrattiene intensi rapporti nella gestione degli affari. Non si tratta di gruppi criminali mutevoli legati a determinati personaggi ovvero a contingenti occasioni di arricchimento illecito, ma invece di una strutturazione che si basa su una scrupolosa ripartizione di competenze territoriali tra famiglie: la famiglia di Tortorici, la famiglia di Mistretta, la famiglia di Barcellona, la famiglia di Milazzo, la famiglia di Mazzarà Sant’Andrea e la famiglia di Terme Vigliatore. Anche nel linguaggio che gli stessi mafiosi adoperano allorché vengono intercettati vien fuori una terminologia che scolpisce e rende visibile questa forma di strutturazione. Si parla di famiglie, si parla di responsabili rappresentanti delle famiglie; se il rappresentante è detenuto, si parla di reggenti, cioè un linguaggio del tutto omologo a quello di cosa nostra palermitana. Naturalmente, poi, per la varietà e molteplicità degli interessi economici presenti in questo territorio, questa associazione mafiosa è portata a cercare di acquisire in qualsiasi maniera una sorta di controllo non soltanto dell’economia illegale (traffico di stupefacenti ed estorsioni), ma anche dell’economia legale, attraverso imprenditori che o sono “amici” delle associazioni mafiose, o sono essi stessi dei mafiosi. Questa analisi - continua il magistrato -, ha ricevuto una eccezionale conferma da una ormai lunga serie di indagini condotte negli ultimi anni da questo Ufficio, come già riferito nelle precedenti relazioni, cui si fa integrale rimando per una compiuta ricostruzione.

L’attentato ad Antoci

Nell’ambito dell’analisi sulla mafia dei Nebrodi il procuratore De Lucia tratta ampiamente l’attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci. Il grave attentato - scrive il magistrato -, si verificava in un’area compresa fra i comuni nebroidei di San Fratello e Cesarò, ossia in una zona storicamente ad alta “densità mafiosa”. Va ricordato in proposito, come sopra in parte già esposto, che costituisce dato processualmente acquisito la esistenza di un sodalizio di stampo mafioso, operante da tempo nel territorio del Comune di Tortorici, San Fratello e zone limitrofe. E dopo aver compiuto una lunga disamina sulla vicenda e sugli sviluppi investigativi, il procuratore scrive tra l’altro: ... il Gip, ritenendo le indagini complete e non suscettibili di ulteriori approfondimenti, emetteva decreto di archiviazione nel settembre del 2018. In proposito va osservato che secondo le regole del codice di procedura penale il Gip si individua come l’unica autorità preposta al controllo della correttezza e completezza delle indagini poste in essere dal Pm, essendo egli in posizione di assoluta terzietà rispetto alle parti ed ai fatti; avendo a disposizione la totalità degli atti di indagine e potendoli esaminare con modalità e scopi privi di logiche diverse da quelle dell’accertamento della verità. Gli atti posti in essere e sopra sinteticamente riassunti danno conto di una attività di ricerca incessante e assolutamente completa. In questo senso le pur possibili critiche che, naturalmente, possono essere rivolte all’operato della Procura della Repubblica di Messina (ed al Gip) circa la conduzione delle indagini in argomento, sono formulate senza che siano stati individuati contributi fattuali nuovi e basati su fonti che possano aggiungere elementi utili alla ricostruzione dei fatti ed all’individuazione dei colpevoli. Pertanto riletture dell’inchiesta, pure prospettate da organi la cui collocazione rimane opaca, non avendo gli stessi i poteri che la legge riconosce all’autorità giudiziaria, restano solo semplici analisi, piuttosto parziali, elementari e semplicistiche, formulate ex post e con l’ausilio di soggetti da tempo lontani dagli scenari investigativi o totalmente privi di esperienza in tema di investigazioni e di processi penali. Tali riletture sono comunque inidonee a dare contributi concreti all’accertamento dei fatti.

La fascia ionica

La criminalità organizzata operante nel versante ionico della provincia di Messina - afferma il magistrato -, ha storicamente sfruttato la circostanza di operare su un territorio di confine... e di recente è invece maturata la consapevolezza dell’esistenza di gruppi criminali organizzati operanti su quella parte di territorio di competenza di questo Ufficio, con caratteristiche del tutto simili all’azione di cosa nostra. Ne è stata prova l’investigazione, condotta dalla compagnia Carabinieri di Taormina “Fiori di Pesco”. Il processo ha riguardato un’organizzazione criminale denominata clan Brunetto, collegata alla famiglia Santapaola-Ercolano, dedita alle estorsioni in danno di titolari di aziende agricole e di proprietari terreni della zona al fine di acquisire il controllo e la gestione diretta delle locali realtà imprenditoriali nel settore agro-pastorale nei comuni di Mojo Alcantara, Malvagna, Roccella Valdemone ed i comuni limitrofi siti sulla sponda sinistra del fiume Alcantara a confine con la provincia di Catania. Le investigazioni hanno consentito di accertare che il sodalizio fosse anche dedito al traffico di sostanze stupefacenti e che si approvvigionasse tramite soggetti legati a diverse famiglie mafiose catanesi.

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