Blitz sui Nebrodi, parla il procuratore di Messina De Lucia: "Una mafia che sa cogliere il nuovo"
Il procuratore Maurizio De Lucia all'indomani dell'operazione antimafia “Nebrodi” parla a tutto campo sulla Gazzetta del Sud. del suo lavoro e delle dinamiche criminali del territorio. Una disamina ampia con il procuratore capo di Messina, sulla maxi operazione che ha smantellato la cosiddetta “terza mafia” dei tortoriciani. Un nuovo, lungo e significativo colloquio, nel suo ufficio di Palazzo Piacentini, sulle dinamiche mafiose del territorio. La prima domanda è scontata, cosa rappresenta l'operazione Nebrodi nella “economia mafiosa” di questa provincia? «Il territorio del distretto di Messina ha delle risorse naturalistiche, e dunque anche economiche, di grande pregio. La mafia ha chiarissima questa visione ed è in anticipo sulle scelte e strategie di altri circa il territorio. È per questo che, secondo la nostra inchiesta, le famiglie mafiose batanesi e tortoriciane sono riuscite a “mettere a sistema” un meccanismo di truffe in danno dell'Unione europea e quindi in nostro danno, che non solo realizza profitti ma, soprattutto, ottimizza il controllo del territorio. Se la mafia urbana esercita questo controllo attraverso le estorsioni ai commercianti che, come è noto, da un lato consentono di ottenere profitti e dall'altro lato testimoniano costantemente alla popolazione la presenza delle organizzazioni mafiose, la mafia che opera sui Nebrodi sfrutta il territorio con modalità diverse. Le estorsioni sono solo uno strumento per affermare la sovranità mafiosa in quel territorio, che poi serve anche per ottenere i fondi che vengono dall'Europa. Come è noto lo scopo dei fondi europei è di aiutare lo sviluppo dell'economia e quindi l'indagine di Carabinieri e Guardia di Finanza da noi coordinata realizza lo scopo di bloccare l' inquinamento del sistema economico dell'area dei Nebrodi e di ripristinare le condizioni di legalità, che sono il presupposto dello sviluppo di una terra come quella dei Nebrodi». Andiamo oltre, secondo lei quali dovrebbero essere gli strumenti da innervare sul territorio dopo il momento repressivo? «Al di là delle singole vicende per le quali è in corso il procedimento penale, qui emergono due rilievi. Il primo: bisogna proseguire a svolgere costantemente indagini antimafia, con gli strumenti più moderni possibili e con forze di polizia ad elevato livello professionale quali quelle che operano nel nostro territorio, perché il momento repressivo è irrinunciabile. Il secondo: bisogna imparare dalle indagini e sviluppare un momento di controllo anticipato rispetto a quello penale e che non può essere statico, basato solo sulle carte; bensì dinamico e quindi basato sui moderni strumenti tecnologici. Penso ad esempio alla verifica molto semplice che oggi si può fare in via informatica della coincidenza tra quanto dichiarato nei documenti e quanto effettivamente è nella realtà. Questa verifica oggi è molto più semplice ed economica che in passato». Abbiamo registrato molte domande da parte di cittadini, tutti si chiedono “come è potuto accadere tutto questo?”. Ecco, chi doveva controllare? «È chiaro che emergono responsabilità di ordine penale, tanto è vero che tra gli indagati molti avevano proprio compiti di verifica e controllo. Questo è il profilo patologico, se qualcuno è complice dell’organizzazione mafiosa è chiaro che di questo risponde. Dopo di che, ripeto, un sistema di controlli informatizzato riduce di molto la possibilità di eludere le verifiche attraverso pressioni e infiltrazioni della organizzazione mafiosa nelle strutture che devono effettuare il controllo». Abbiamo pubblicato in questi giorni prese di posizione in cui la Tortorici onesta si è ribellata a questo stato di cose. Le volevo fare due domande: la mafia lì è per certi versi “inestirpabile” come dice il gip Mastroeni, e poi, quale messaggio lei si sente di lanciare alla Tortorici onesta? «La mafia certamente non è inestirpabile, il giudice che ha emesso l’ordinanza ha fatto un lavoro importante, difficile, molto faticoso e che merita profondo rispetto, però le valutazioni che noi facciamo sono diverse: nessuno fenomeno criminale è inestirpabile. Non vorrei citare, come spesso si fa, Giovanni Falcone, ma è chiaro che anche questo fatto umano ha avuto un inizio ed avrà una fine. Come si estirpa? Innanzitutto con le indagini, con i processi e con le condanne che devono seguire le indagini, ragion per cui le indagini devono essere fatte bene e complete. L’unica riflessione ulteriore è che lo Stato è presente a Tortorici come in tutta la provincia di Messina in tutte le sue articolazioni, e nessun cittadino onesto è lasciato solo, perché la presenza delle forze di polizia sul territorio c’è , è una presenza attiva ed è in grado di offrire protezione a chiunque si senta minacciato dall’organizzazione mafiosa». Ha ricevuto messaggi o lettere che l’hanno colpita in questi anni di permanenza a Messina da parte di di “semplici cittadini”, che chiedevano qualcosa a lei dal punto di vista della pressione mafiosa? «No, ma non è il procuratore della Repubblica l’esclusivo punto di riferimento dei cittadini, soprattutto chi sta sul territorio e quindi in primo luogo le forze di polizia sono i terminali di tutti i messaggi e le segnalazioni sul tema». La mafia che voi avete disarticolato si era “allargata” approfittando del momento di difficoltà di Cosa nostra barcellonese. Ecco, in quale momento è Cosa nostra barcellonese? «Le mafie sono in costante riorganizzazione, il fenomeno non è inestirpabile ma certamente non è estirpato. Ssappiamo che esistono dei fermenti mafiosi anche nel territorio di Barcellona, e stiamo cercando di capire e di comprendere il fenomeno». E la mafia messinese? L’ultima operazione è stata emblematica, la “Predomino” è stata una presa di potere di alcuni collaboratori di giustizia che erano rientrati in città... «Si tratta di “ex” collaboratori di giustizia, che avevano offerto una collaborazione utile, che termina sostanzialmente intorno al 2005 e quindi circa 15 anni fa. Dopodiché, e questo deve far riflettere sul piano strutturale, per chi ha collaborato con la giustizia bisogna immaginare dei limiti anche di natura legislativa che impediscano a questi soggetti di tornare nel territorio nel quale avevano commesso i delitti e per i quali hanno collaborato. L’azione della Squadra mobile di Messina e le indagini della Direzione distrettuale antimafia hanno scoperto un’organizzazione agguerrita, non fosse altro il quantitativo di armi che sono state rinvenute, e dunque con una notevole capacità offensiva. Il dato incoraggiante è che sono stati scoperti, arrestati e per loro a breve avremo un processo. Chiaramente anche a Messina le forme criminali organizzate tendono a riprodursi, noi cerchiamo di incidere abbassando sempre di più il livello di queste organizzazioni e questo si può fare, come ho già detto, soltanto se vi è una polizia giudiziaria molto attrezzata e molto professionalizzata. In questo senso Messina attraversa un buon momento, proprio perché la qualità degli investigatori è molto alta, così come è alta la qualità dei magistrati della Procura». Volendo giudicare il momento della mafia messinese possiamo parlare di regressione, inabissamento, riorganizzazione? «Tendenzialmente tende costantemente a riorganizzarsi ogni volta che subisce dei colpi dalle indagini e dai processi. È un fenomeno costante, lo sforzo sta ovviamente nell’abbassare il livello di queste organizzazioni». In tutte queste ultime operazioni antimafia c’è al centro sopratutto la “manovalanza”, quando si salirà di livello? «Il nostro sforzo è proprio questo, impedire alle organizzazioni di salire di livello cercando di colpire soprattutto i capi di queste organizzazioni. Poi è vero che esse godono di una serie di connivenze a vari livelli, ad esempio proprio l’ordinanza sull’area nebroidea dimostra come siano molti i professionisti che dialogano con i mafiosi e che gli consentono di arrivare laddove da soli non potrebbero arrivare». In apertura di conferenza stampa per l’operazione “Nebrodi”, a Palazzo di giustizia, lei ha puntualizzato alcuni concetti ed ha parlato di critiche che sono giunte al suo ufficio per la gestione di altre inchieste. Presumo si riferisse al caso Antoci, ci vuole spiegare questi concetti? «Io ho rilevato che la qualità delle indagini del mio ufficio è costantemente elevata e lo è stata anche per l’attentato ad Antoci. Le critiche contenute nella relazione della Commissione regionale antimafia sulle modalità di svolgimento delle indagini sono formulate da un organo politico. Il principio della separazione dei poteri è alla base della nostra democrazia ed è posto a garanzia di tutti. Il controllo sulle indagini del pm nel nostro sistema è affidato al Giudice, e non ad altri». Un altro punto che lei ha toccato nel corso della conferenza stampa è quello degli organici... «Messina soffre di due enormi problemi che riguardano la giustizia. Ed è bene che si comprenda la loro importanza, perché per quanto la procura della Repubblica, i giudici e le forze di polizia facciano degli sforzi, questi sforzi avranno sempre i connotati dell’emergenza se non si pone mano in maniera definitiva all’edilizia giudiziaria ed agli organici dei magistrati. Dal primo giorno in cui ho assunto le funzioni di Procuratore ho detto, e continuerò a dirlo in tutte le sedi, che il problema dell’edilizia giudiziaria a Messina è un problema enorme, che riguarda innanzitutto gli operatori della giustizia, personale amministrativo, magistrati e avvocati ma che riguarda anche tutti i cittadini del distretto di Messina. Ogni giorno che passa la situazione dell’edilizia giudiziaria diventa più difficile da gestire, per altro con aggravio dei costi in termini di affitti di locali e soprattutto in termini di precarietà dei luoghi dove si amministra la giustizia. Non è solo una questione di dignità, è una questione di efficienza e quindi di sviluppo anche economico di cui Messina ha bisogno. Una soluzione va trovata in maniera trasparente e rapida». Secondo lei è solo scarsa capacità della classe politica o c’è qualcuno che ha un disegno preciso? «Questo non lo so, certo che non mi pare che la classe politica abbia particolarmente brillato in questi decenni per risolvere il problema. L’altro problema immanente è quello che attiene agli organici del personale amministrativo e della magistratura. Non è possibile che nel progetto di riorganizzazione delle piante organiche dell’intera magistratura italiana al distretto di Messina, tutto il distretto, siano destinati soltanto sei magistrati in più degli attuali, quando solo quattro anni fa il Ministero, in maniera molto opinabile, ha pensato di sopprimerne cinque. Ecco, questi due problemi sono strutturali, devo dire che una classe politica seria li dovrebbe porre al primo punto dell’agenda politica della città di Messina».