Un tentato omicidio, commissionato a distanza. Un summit tipicamente mafioso per evitare conseguenze drastiche. Un altro omicidio pianificato e saltato solo per l’intervento delle forze dell’ordine grazie alle intercettazioni telefoniche. C’è anche questo tra le carte dell’inchiesta “Predominio”, che ha portato venerdì mattina a 14 arresti eseguiti dalla Squadra Mobile di Messina. Passaggi che rendono evidente il peso che aveva ormai assunto il sodalizio guidato dagli ex collaboratori di giustizia Nicola Galletta, Salvatore Bonaffini e Pasquale Pietropaolo, insieme a Gaetano Barbera che, fino ad un certo punto, collaboratore lo era ancora. Le vicende legate al tentato omicidio di Francesco Cuscinà, ad esempio, vengono definite emblematiche «del carisma esercitato dagli ex collaboratori» e «del peso specifico acquisito dall’associazione facente loro capo nell’assetto dei rapporti fra gruppi contrapposti». In particolare il summit organizzato per ripianare i rapporti tra le famiglie Cutè e Cuscinà, dato che fu proprio Giuseppe Cutè, accompagnato da Paolo Gatto (figlio dello storico boss di Giostra Puccio), a sparare a Cuscinà la mattina del 25 agosto 2018, sul viale Giostra. Il giorno stesso dell’agguato Nicola Galletta e Pasquale Pietropaolo commentano quanto avvenuto: «È vabbè... gli hanno sparato non gli è andata bene?», dice Pietropaolo. «Gli è andata bene per davvero!», risponde Galletta. I due ne ridono, ma Pietropaolo prevede guai: «Minchia Cuscinà... ora vuole la paglia per cento cavalli!». A dialogarne, il giorno dopo, lo stesso Galletta e Salvatore Bonaffini. Fino al summit del 29 agosto, in una trattoria di Largo Seggiola. Un «convegno» da leggere, secondo il gip Tiziana Leanza, «in chiave tipicamente mafiosa», anche per le modalità con cui avviene. Modalità che vengono descritte così: «I partecipanti non si incontravano tutti contestualmente, ma avvicendavano all’interno del ristorante alternandosi, a piccoli gruppi, “al cospetto” dei tre ex collaboratori, al chiaro scopo di evitare un confronto diretto e di mediare tra le diverse posizioni». Tutto documentato da telecamere installate dagli investigatori, da microspie nascoste in una pianta e nei pressi della porta della trattoria. All’uscita dal locale è Pietropaolo a rassicurare Giovanbattista Cuscinà, figlio di Francesco: «Non esiste proprio – dice, rispetto ad ulteriori reazioni da parte di Cutè – vi siete seduti qua, con questo pensiero... e allora che vi siete seduti a fare?». E lo stesso Pietropaolo, poco più tardi, fa un “resoconto” allo zio Pasquale Castorina su quella che viene definita, con un nome in codice, “questione Gorbaciov”: «Dovevano aggiustare una cosa». Il summit evidenzia, secondo il gip, la «inequivoca forza dimostrativa» dell’opera di «mediazione mafiosa» attuata da Galletta, Bonaffini e Pietropaolo, «ai quali veniva riconosciuta dalle parti contrapposte una indiscussa autorevolezza». Ma al quadro delineato si aggiunge un ulteriore elemento: le dichiarazioni rese dal collaboratore di giusitiza Giuseppe Minardi, sin dai primi anni Novanta elemento di spicco del clan di Giostra col boss Luigi Galli. Minardi racconta che Cutè era stato incaricato da Gaetano Barbera di «punire» Cuscinà e che alcuni ex collaboratori di giustizia «“si stavano riorganizzando” (...) per commettere reati a Messina ed in particolare si stavano organizzando per uccidermi». Altro episodio degno di attenzione è il “progetto” di omicidio di Rosario Grillo, pluripregiudicato, ex marito di Carmela Portogallo, la convivente di Nicola Galletta. L’8 gennaio scorso vengono intercettati Galletta, Bonaffini e Pietropaolo: «Ce lo facciamo mentre è in mezzo a loro, senti quello che ti dico io!», dice Pietropaolo. «Falli rientrare tutti – ribatte Galletta –, là è brutto». I tre parlano di Grillo, da uccidere mentre avrebbe fatto rientro, dal rione Mangialupi, al carcere di Gazzi insieme ad altri detenuti in regime di semilibertà. «Ci possiamo mettere a Mangialupi – suggerisce Pietropaolo –, là l’aspettiamo al buio». Bonaffini entra nello specifico («lo so io dove ci dobbiamo mettere, quella zona mia è»), individua l’appostamento migliore in una casa diroccata nei pressi della ferrovia dismessa e si prefigura tutta la scena della sparatoria: «Ti metti là, loro sono seduti così... seduti sulla panchina... che aspettano dietro la porta e tu gli spunti dietro! Senza salire il muro, dalla rete stessa (simula il rumore di uno sparo)... hai capito che fai... “aspetta pezzo di cornuto” e cominci a “calare” (a sparare) a chi prendo prendo». Viene addirittura “esplorata” virturalmente la location dell’attentato tramite Google Maps. Galletta si entusiasma ed esclama: «minchia... agguato mafioso!». Tutti motivi che inducono il tribunale a predisporre un servizio di sorveglianza della potenziale vittima, non sfuggito, ovviamente, ai tre ex collaboratori. I quali «comprendendo di non poter compiere alcuna mossa senza destare allarme, desistevano dal portare a termine il progetto omicidiario lungamente pianificato».