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Droga nei salotti buoni a Messina, processo da rifare a 19 anni dall'operazione "Doctor"

A distanza di quasi vent'anni dal blitz antidroga dei carabinieri, non è arrivata ancora la parola fine sull'inchiesta “Doctor”, a Messina. Lo hanno stabilito i giudici della quarta sezione della Corte di Cassazione, che hanno riscritto il verdetto di secondo grado, dopo i ricorsi della difesa.

In particolare, annullata la sentenza nei confronti di Benedetto Aspri e Fabio Tortorella, con rinvio alla Corte d'appello di Reggio Calabria per un nuovo giudizio. “Cancellata” anche la precedente decisione impugnata da Antonino Farinella, relativamente al trattamento sanzionatorio. Sarà sempre la Corte d'appello di Reggio Calabria a doversi pronunciare in merito. Inoltre, annullata la sentenza impugnata nei confronti di Francesco Forgione relativamente alle questioni riguardanti le circostanze attenuanti della collaborazione, oltre al trattamento sanzionatorio. Analoga risoluzione adottata dalla Suprema corte a beneficio di Giovanni Abbate e Alfredo Trovato. La quarta sezione ha poi dichiarato inammissibile il ricorso nel resto. Gli imputati sono difesi dagli avvocati Salvatore Silvestro e Vittorio Di Pietro.

Nel settembre del 2018, il collegio della Corte d'appello di Messina aveva condannato Benedetto Aspri a 6 anni, Fabio Tortorella e Alfredo Trovato a 4 anni, Antonio Farinella a 2 anni di reclusione. La sentenza di primo grado era stata confermata con riferimento agli imputati nei confronti dei quali il procuratore generale non aveva inoltrato appello, ossia Antonio Forgione e Giovanni Abbate, a cui furono inflitti 6 anni di pena ciascuno.

Nel 2000, venne sgominato un sodalizio molto attivo nel settore del narcotraffico: in particolare, un gruppo trasportava rilevanti quantitativi di droga, tra cui eroina, da Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, alla città dello Stretto. La “roba”, poi, veniva smerciata prevalentemente a famiglie dei cosiddetti salotti “buoni”. Tra le quattordici persone finite in manette nell'operazione condotta all'epoca dalla Direzione distrettuale antimafia e dai miliari dell'Arma, Benedetto Aspri, Antonino Giorgi (considerato in quel periodo il capo dell'associazione) e Giovanni Abbate. Quest'ultimo venne fermato nell'anno precedente al blitz delle forze dell'ordine e arrestato dai carabinieri in flagranza di reato. Agli atti dell'inchiesta svariati episodi illeciti in cui le persone raggiunte da ordinanza di custodia cautelare, tra l'agosto e il settembre del 1999, trattarono partite di droga anche piuttosto consistenti. Ad esempio, il 5 agosto 1999 Giorgi, Abbate e Aspri (assieme ad altri due soggetti) avrebbero maneggiato un imprecisato quantitativo di stupefacenti che sarebbe stato pagato 5 milioni. Inoltre, il 28 agosto dello stesso anno, Aspri avrebbe acquistato da Giorgi, Abbate e da altri pusher eroina, pari a 985 grammi.

Accanto alle imputazioni per droga pure episodi che si riferivano ad una presunta falsificazione di un certificato d'iscrizione di pensione e poi una dichiarazione fatta siglare ad un analfabeta per cercare di recuperare 4.000 euro.

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