Il boss di cosa nostra barcellonese Giovanni Rao, da tempo ristretto in regime di carcere duro al “41 bis”, potrà continuare a leggere i giornali, ma con una eccezione: non quelli che vengono stampati in Sicilia e nella provincia di Reggio Calabria, ovvero il suo territorio d’appartenenza.
S’è conclusa così l’interessante vicenda sotto il profilo giuridico e dei diritti dei detenuti ad informarsi con i quotidiani cartacei, che era stata sollevata da uno dei suoi legali, l’avvocato Franco Scattareggia, ed era finita in Cassazione.
Nei giorni scorsi infatti s’è pronunciato sulla vicenda il Tribunale di Messina, su rinvio proprio della Cassazione, e c’è da registrare anche il deposito delle motivazioni della decisione di rinvio della Suprema Corte, che in sostanza condivide l’impostazione del ricorso presentato dal legale di Rao.
Ed è interessante notare che la Cassazione, quasi a voler sottolineare l’importanza dell’affermata regola-cardine in ordine alla inviolabilità dell’informazione quale diritto fondamentale, aveva prescritto al giudice del rinvio, ovvero il Tribunale di Messina, di uniformarsi alla «delineata cornice di principio».
La causa è stata quindi affrontata davanti al Tribunale di Messina nei giorni scorsi e con un provvedimento depositato subito dopo l’udienza i giudici hanno accolto parzialmente il reclamo, limitando il divieto originario imposto al boss Rao di acquisto o ricezione di giornali di stampa locale, con esclusivo riferimento alla zona geografica di appartenenza, la Sicilia, e alla zona territoriale limitrofa, Reggio Calabria e i dintorni.
Avevano scritto i giudici della Cassazione: «... trattandosi di provvedimenti che incidono su diritti fondamentali, deve escludersi, come condivisibilmente dedotto dalla difesa del detenuto, che le limitazioni in questione possano essere basate sulla ricorrenza di una situazione di “mero sospetto”, essendo necessario che ricorrano concreti elementi di valutazione idonei a conferire un adeguato coefficiente di oggettività alle ragioni poste alla base del richiesto controllo. Nel caso di specie, tuttavia, la misura limitativa è stata disposta, in maniera sostanzialmente indeterminata, in relazione a tutta la stampa locale, senza considerare in alcun modo l’area geografica di provenienza o comunque di influenza del detenuto (e degli altri reclusi che ne condividano il gruppo di socialità)».
Su richiesta della direzione della casa circondariale de L’Aquila, dove è ristretto Rao, con un provvedimento dell’ottobre 2018 la Corte d’assise di Messina aveva disposto il “divieto di acquisto o ricezione dei giornali di stampa locale, indipendentemente dalla loro provenienza geografica, per il periodo di mesi sei” a carico di Rao.
Il provvedimento veniva motivato dai giudici con il fatto che ciascun detenuto, acquistando o ricevendo giornali dell’area di provenienza o di qualsiasi zona geografica, potesse veicolare le notizie relative ai territori di provenienza degli altri detenuti, all’interno dei cosiddetti “gruppi di socialità”; e ciò - avevano sempre spiegato i giudici nel provvedimento -, in quanto sarebbe emerso che alcuni detenuti al “41 bis” avessero chiesto di abbonarsi o acquistare quotidiani contenenti informazioni locali di aree diverse dalla propria.
Il tribunale di Messina ha recepito i “dettami” decisi dalla Corte di Cassazione.
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